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martedì 18 dicembre 2012

Siamo tutti dei teleGeni



Vi chiederete come mai noi della Giordania snobbiamo un po' questo blog e non ci scriviamo spesso, ma questo video è la prova concreta di come la nostra agenda pulluli di appuntamenti con giornalisti vari. Insomma, siamo dei servizi civilisti impegnati e ricercati, ma nonostante tutto ci ricordiamo ancora di voi e vi postiamo la recente intervista fatta con TV2000.
Non preoccupatevi che presto torneremo in Italia e saremo disponibili a rilasciare interviste nonché autografi.
Aspettiamo di venire invasi da commenti entusiastici riguardanti la nostra bellezza telegenica e la nostra capacità dialettica  assolutamente fuori dal comune ( io sottoscritta parlo per ben 10 secondi, e Dario è in grado di esprimere complessità, dramma e pathos in soli 4 secondi). 
Se qualcuno di voi volesse contattarci per una eventuale intervista chiediamo gentilmente di prendere appuntamento con il nostro manager. 



venerdì 21 settembre 2012

Kell marra


Kell marra, no non è una minaccia tranquilli, significa "ogni volta"!
Ecco a voi il tormentone dell'estate Giordana!!! 
Il cantante, a dire il vero, è Libanese, ma a noi poco ce ne importa dato che ci ha fracassato i ****** per un'estate!
All'inizio era anche carina, ma ora OGNI VOLTA che la sentiamo ci viene da tapparci le orecchie!
Testo amoroso e banale, musichettina che ti entra nelle orecchie e ti rimane appiccicata in testa tutto il giorno, radio che lo sparano a tutto volume ovunque...
è lui il tormentone dell'estate 2012!! ce n'erano un po' in realtà ma dopo una dura lotta e un sondaggio lui ha vinto!!!
Eccolo a voi in tutta la sua truzza bellezza, godetevelo! 
NOI NON NE POSSIAMO VERAMENTE PIU'!!!




UN PO' UN POST



Un post in ritardo....
viene dal Medio Oriente, è normale...
un post non in ritardo non può essere un vero post Giordano!












Un post a caso...

un po' come la vita qui...
si va all'ispirazione del momento
foto sparse per il post
per rendere l’idea di come scorre il tempo qui
che non è lineare ma pare in modalità riproduzione casuale da playlist youtube
non sai mai quello che avverrà dopo
l’unica cosa che è certa è che probabilmente non accadrà quello che pensi possa succedere

Un post inshallah
che significa "se Dio vuole"
riferendosi a qualcosa che accadrà in un arco di tempo che varia da verundicimila anni luce nel futuro ai 3 secondi successivi.
Inshallah è l'unica risposta che qui pare avere un senso logico.
Il massimo è stato " mi passi la penna please?" "inshallah"
la penna è rimasta al suo posto... Dio non ha voluto...
nessuno mi aveva ancora spiegato che è anche un modo carino e molto educato per dire "ma muori"

Un post che è tutto quello che sono stati i cantieri.... un po' in ritardo ad aspettare sotto il sole, mani in mano, facce ormai rassegnate... 

un po' a caso a cercare, a girare, a chiacchierare, a procacciarci i dolci, il pane e i polletti per la cena, a preparare distribuzioni di vestiti per i profughi siriani senza avere istruzioni chiare sul come farlo, ad attendere quello che non sarebbe mai successo, a fare ramadan anche noi per caso… 

Un po' inshallah, che era la risposta che di solito si otteneva, utilizzata nei mille sensi che la caratterizzano e che variano dal " ma che ne so io?????????????? ", al " Dio è grande, provvederà" , all’ovviamente immancabile “ma muori”.....

Ci sarebbero altre cento cose da dire su questi cantieri, ma questo post è anche un po’ svogliato, impiastricciato di calura estiva giordana, quella che ti succhia le energie ... Quindi scusateci se non ci dilunghiamo in racconti prolissi ma è inutile perdersi in parole! L’unica cose che rimane da aggiungere su questi cantieri è che anche se svogliati, inshallah, a caso e perennamente in ritardo, sono anche stati dei cantieri hamdulillah, che significa grazie a Dio … perché sì, questo è anche un post un po’ hamdulillah!

grazie a dio che sono finiti? No, assolutamente no…



Avete presente quando vi ingozzate di cibo per le feste comandate e poi siete così pieni di tutte le possibili varietà di pietanze che l’unica cosa che riuscite a fare è accasciarvi sulla sedia slacciando i bottoni dei pantaloni? Ecco, qua quando uno è così pieno esclama soddisfatto “hamdulillah”….
Tre settimane fatte di voci, colori, suoni, giochi, incontri, passeggiate, lune piene, deserto e mare, narghilè e succhi di frutta, notti tirate tardi, canti e chitarre, domande e risposte, pensieri e sensazioni, profumi e tanfi,  delusioni e soddisfazioni, difficoltà e fatica, sorrisi di bambini e sguardi di anziani, donne velate e uomini in tunica, campi profughi e scuole estive, visite e giochi, tre settimane che sono state un vortice, un’abbuffata di vita condensata, che in parte è ancora ferma sullo stomaco …

Ecco avrò messo su un kilo! Ma di conoscenza, di tolleranza guadagnata, di sorrisi, di abbracci, di storie di vita da poter raccontare, di avventure esilaranti e di mille e mille altre cose … i pantaloni stringono e sposto il buco alla cintura … hamdulillah, altro da dire non rimane








lunedì 16 luglio 2012

UN POST PIU' UMANO




Eccoci, un’altra mattina alla stazione degli autobus, fermi sotto un sole già rovente. Quanto aspetteremo oggi? Difficile fare previsioni … A volte bisogna lottare per accaparrarsi un posto, altre volte bisogna aspettare un tempo interminabile prima che il mezzo sia al completo di passeggeri e quindi pronto a partire. Non sappiamo mai a che ora saremo sul posto di lavoro: a volte arriviamo in anticipo, quasi mai in orario, spesso e volentieri in ritardo. Ma alla fine qua a nessuno sembra importare, la filosofia di vita è molto diversa dalla nostra, qui inshallah (se Dio vuole)  non è un’espressione, è uno stile di vita. Ci lasciamo alle  spalle Amman, attraversiamo Zarqa e presto il bus comincia a sfrecciare nel deserto. Un deserto di colline sassose e pietraie, un deserto che è solo un illusione, un intervallo di natura immota e potente che incontriamo quasi per sbaglio e presto abbandoniamo. Eccoci di nuovo in periferia. Il vecchino seduto dietro di me mi tocca col bastone, proprio come quando ci si vuole accertare che qualcuno sia ancora vivo, e io, che come al solito mi sono addormentata negli ultimi cinque minuti di viaggio, apro gli occhi:
È ora di  scendere.
Mi guardo intorno, respiro: aria secca, polverosa e calda. Sono arrivata a Mafraq.

Da sempre città di confine, città nel deserto, da qualche mese  città di rifugiati, di povertà, di dignitosa e composta disperazione.






 Eppure in apparenza tutto è così normale. I mendicanti ai lati delle strade sono di più, molti di più, sono donne anziane, bambini, anche uomini di tanto in tanto, parlano con un accento diverso, ma la gente non pare scomporsi; tutto pare abituale, scontato, ordinario. È strano trovarsi sul teatro di una tragedia e vedere come la vita continui a scorrere impassibile, imperturbabile. Con ordine la società civile giordana si è apprestata a soccorrere gli sventurati vicini, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse scontato che dopo ai Palestinesi e agli Iracheni in qualche modo anche ai Siriani toccasse il proprio turno. I mass media non gridano all’invasione come fa la stampa nazionale nostrana ad ogni singolo sbarco di immigrati, sono al contrario solidali, parlano di aiuti e di progetti di accoglienza, di ospedali da campo, di realtà locali impegnate nell’emergenza e delle ONG straniere che le supportano. C’è preoccupazione e c’è tensione, è normale, la Giordania non è un paese ricco e ha già seri problematiche sociali con cui deve fare i conti, ma le persone accolgono prontamente, senza sospetti e con generosità.
 È vero, Il governo non ha una posizione chiara e cerca di non sbilanciarsi e questo, sicuramente, va in parte a discapito delle condizioni di vita dei Siriani in suolo Giordano, ma la popolazione civile, anche se stanca e preoccupata, accoglie e aiuta. I movimenti informali nati dal basso, dalla gente comune, sono molti: ci sono  iniziative culturali, spettacoli di vario tipo, concerti di gruppi ska e rock, una rarità nel panorama musicale mediorientale,  il tutto per raccogliere fondi per chi è scappato, per tutti coloro, e sono tanti, che ogni giorno varcano la frontiera. È vero, tante persone vivono “l’emergenza” come una realtà distante e lontana, la stragrande maggioranza della popolazione infatti vive alla giornata arrabattandosi e ingegnandosi in mille modi per arrivare a sera,  ma, nonostante ciò, il tessuto sociale Giordano è vivo, si attiva, risponde e crea reti di solidarietà accantonando la stanchezza e l’amarezza che contraddistinguono quest’ennesima tragedia mediorientale.

Al contrario di ciò che avviene in Italia, qui i mass media non utilizzano meschini sotterfugi linguistici per diffondere incertezze e paure, per creare sindromi da Cassandra alimentando quella che è stata più volte magistralmente definita una “tautologia della paura”. Da noi gli immigrati sono clandestini, irregolari, delinquenti, invasori, sono portatori di una cultura troppo diversa e quindi pericolosa, sono quelli che ci rubano il lavoro e che creano insicurezza sociale, sono chiusi, arretrati, sono individui pericolosi per la società, sono, in sostanza, capri espiatori che portano lo stigma di colpe non loro.

Qui i Siriani sono “ fratelli per cui si deve pregare” , forse sono visti come vittime ma questo punto di vista non è accompagnato dal paternalismo che invece è proprio dei discorsi pubblici italiani e, più in genere, europei. Quello che ho notato qui in Giordania è che quando si parla di Siriani si parla di PERSONE, uomini, donne, bambini che continuano a possedere una loro dignità.

E dal cuore del mondo musulmano, quel mondo che tanto spaventa noi occidentali poiché spesso considerato arretrato e violento, giunge una lezione di dignità, umanità e fratellanza: sulle coste italiane sbarcano clandestini, qui si accolgono persone.

Distribuzione di beni di prima necessità a Zarqa


Il tassista che mi riaccompagna a casa accende la radio, ascolta le notizie poi alza le spalle e dice: “ altre bombe, hai sentito? Prega, prega anche tu. Allah deve aiutare i nostri fratelli Siriani”.


domenica 8 aprile 2012

... Al posto della libertà ...


E volto le spalle... lasciandomi alle spalle una desolazione incrociata solo superficialmente, forse più con l'animo che con gli occhi. Il mio sguardo non si è soffermato sui volti talora stanchi talora spaesati delle persone che mi circondavano, una sensazione strana me lo impediva, come una percezione di estraneità.
Alzare lo sguardo era come voler sfidare quei volti segnati da dolori e fatiche e ciò mi metteva a disagio.
Sono entrata a testa bassa, incerta del significato della mia presenza là tra loro e a testa bassa sono uscita dopo aver parlato con il capo della polizia che ovviamente esigeva un'autorizzazione per farci entrare nel campo profughi, che poi così non dovrebbe neanche essere chiamato anche se di questo concretamente si tratta. Mi dirigo verso l'uscita fissando la terra polverosa, il capo chino, non perchè io sia delusa ma perchè non ho ancora trovato il coraggio di sostenere gli sguardi interrogativi, quasi diffidenti, che si posano su di noi. Sono sollevata: per oggi non dovrò entrare nell'inferno. Le anime sventurate che lo popolano sono Siriani, gente semplice, contadini, donne e bambini, l'età media nel campo oscilla tra i 19 e i 29 anni.
“Ragazzi come noi”
Questo ho pensato quando la dirigente dell'associazione di assistenza medica affiliata all'UNHCR ha risposto alle nostre domande.
“Quanti sono?”
“Tanti, ogni giorno sempre più. Dal 29 marzo il numero sale esponenzialmente.”
Azzarda una stima “ Si contano circa 15.000 displaced people qui in Giordania” . 
Difficile trovare due fonti che concordino sul numero esatto, quello che è certo è che sono molti.
… ragazzi e ragazze...  
Persone che hanno subito violenze e torture e sono state costrette a fuggire, ad allontanarsi dalla casa e dalla famiglia, a lasciarsi tutta una vita  alle spalle, esistenze sradicate e trapiantate in un' altra realtà, umanità ferita, raccolta in un luogo che non è tale, in un campo che è un non luogo, dove la vita si ferma, arresta il suo naturale corso come sospesa. Molti, tutti vogliono tornare in Siria, non accettano questa forzata e tragica parentesi nella loro vita, questa fuga imprevista che ha drasticamente interrotto le loro vite costringendoli a fuggire. Dietro a tutta questa violenza, perché quando si costringono migliaia di persone ad interrompere drasticamente le loro vite di questo si tratta, solo dati incerti, percentuali e stime numeriche che mostrano realtà completamente diverse.

E dall’occidente giungono voci contrastanti: mentre i mass media raccontano di un governo che per mezzo dell’esercito attacca la sua stessa popolazione vi sono molti giornalisti che scrivono di una realtà molto diversa e parlano di una rivolta strumentalizzata e fomentata dall’occidente[1].
“You’ll get the shari’ah and we’ll get the oil”, questo è lo slogan che secondo molti si nasconde dietro l’ennesimo tentativo di esportare la democrazia. Non è forse ora di chiedersi per quanto questa scusa, ormai trita e consunta, ci ingannerà ancora?
Intanto ad Amman si contano a decine i mercenari inviati dai paesi del Golfo, dalla Libia, tra loro anche qualche pashtun afghano[2]. L’Arabia Saudita proclama che sono stati inviati per sostenere i ribelli, per combattere contro il regime oppressore di Assad; non è forse legittimo chiedersi da che parte stiano allora questi ribelli? Siamo sicuri che dei mercenari talebani possano combattere per la democrazia? Il regime è sicuramente corrotto, ma i giochi di potere sono molto più complessi di quello che in realtà sembrano e questa rivolta non è solo una sollevazione popolare, sotto ci sono interessi ed equilibri molto più complessi di quello che le fonti ufficiali di informazioni lascino trapelare[3].

I pensieri si affollano confusi, più si va a fondo della questione meno la si comprende. L’unica cosa certa è che questa calcolata disinformazione fa parte del gioco e a testimoniarlo basti citare la dimissione di 5 giornalisti corrispondenti di Al Jazeera a causa delle menzogne diffuse dalla nota emittente[4].

Ma questa volta è diverso, le vittime della tragedia non sono fantasmi lontani rievocati da numeri e cifre distrattamente letti nei giornali, questa volta sono esistenze che ho sfiorato, vite incrociate quasi per caso, incontri mancati che continuano ad essere avvolti in una coltre di silenzio spessa tanto quanto la mia incapacità di ridare loro quella dignità di persone perduta e cancellata dal campo, dalle definizioni ufficiali, dai numeri e dalle percentuali. Abbassando lo sguardo non faccio altro che sancire la loro condanna.

Il mio sguardo si posa nuovamente sulla terra polverosa, terra giordana, terra di una nazione creata dal nulla e dal deserto, popolata di rifugiati e che continua a prestare fede alla sua vocazione rinnovando di giorno in giorno il suo ruolo di mediatrice tra occidente e medio oriente grazie all’abile equilibrismo dei suoi sovrani. Terra che per l’ennesima volta si riconferma un’isola di relativa quiete circondata da un mare in tempesta.

Alzo gli occhi al cielo: uno stormo di uccelli in volo cattura il mio sguardo.
Provengono da nord, hanno appena sorvolato il confine eppure per loro non c’è un campo ad attenderli, loro sono liberi di volare ovunque, senza barriere, senza status ufficiali, nessuno li additerà come “displaced”.
E forse un po’ ingenuamente penso alla libertà così come è intesa dagli uomini, a quest’ideale astratto che diviene spesso gabbia e prigione.
Dove abbiamo sbagliato? Cosa ci sfugge?

lunedì 12 marzo 2012

Giordania: stereotipi utopici


Ormai sono trascorse più di due settimane dal nostro arrivo in Giordania...

... "mmm.. ma dove sono?" la camera bianca, un po' ospedaliera, è la prima cosa che riporta alla realtà: "buongiorno, sei ad Amman, te lo ricordi?" odiata sveglia che suona sempre puntuale alle 7 di mattina... è vero... siamo proprio ad Amman…  
Due settimane sono giusto il tempo necessario per capire che si sta vivendo una nuova realtà. 

Ma gli stereotipi di un paese immaginato a lungo sono già crollati tutti, o quasi. 

Primo: la Giordania è un paese arabo e nei paesi arabi guidano come pazzi. Rischieremo la vita ogni volta che prenderemo un taxi.
Non è così. Incredibilmente in Giordania gli stop,i sensi unici, i semafori vengono rispettati, la velocità, seppur non proprio moderata, non è da primato di formula uno e per ora non abbiamo neanche visto nessuno di quei fantastici taxi in cui si deve per forza salire in 7, autista compreso, e si finisce inevitabilmente spiaccicati contro il finestrino. L'attraversamento della strada è comunque uno sport ancora un po' rischioso, da praticare quando si sono sviluppate buone doti di agilità e velocità.

Secondo: La Giordania è un paese arabo e tutti cercheranno di attaccare bottone una volta capito che hanno di fronte degli stranieri.
Niente di più sbagliato. Qui a nessuno frega nulla che tu sia italiano, iracheno, cinese o della Groenlandia, a prescindere dalla tua nazionalità tutti si fanno i cavoli loro.


Terzo: La Giordania è il paese della Regina Rania, che è una banalità ma quando abbiamo comunicato  a parenti e amici che saremmo partiti per un anno per il servizio civile all'estero nel suddetto stato la maggior parte delle persone ci rispondeva: " oh che bello! Il paese della principessa!". Eh chi non la conosce d'altronde? E' bella, socialmente impegnata, emancipata, occidentalizzata... E forse è proprio quest'ultima caratteristica a causarle il maggior numero di problemi; Rania si veste all'occidentale, è vero, e questo a molti non sta molto bene, ma, nonostante ciò, molti giordani non hanno nulla da ridire sulla sua mise così poco tradizionale contestandole bensì il ruolo troppo influente che esercita a corte. Rania è una regina politicamente impegnata, la sua opinione è ascoltata ed influisce in modo decisivo sulle decisioni politiche del re e questo, ovviamente, piace poco a chi ha ancora una visione molto tradizionalista della donna. Quindi avrete già ben capito che nella sua terra non è così amata. 
Se poi ai motivi sopra elencati aggiungiamo che è di origine palestinese, la nazionalità dei numerosissimi rifugiati che si stono stabiliti in Giordania, indebolendone, secondo il parere di molti, la già fragile economia, che recentemente la sua famiglia è stata al centro di una serie di scandali riguardanti la corruzione e che lei stessa mostra vere e proprie tendenze allo sperpero degne della celebre Maria Antonietta organizzando per i suoi 40 anni sontuose feste nel deserto del Wadi Rum, possiamo capire quanto la sua popolarità sia limitata in patria.

Quarto: La Giordania è un paese arabo e quindi le città saranno molto caotiche, perennemente rumorose, il nostro viaggio sarà ovunque accompagnato da un vociare concitato, verremo bombardati da una cozzaglia di suoni, rumori e voci.
E invece indovina un po'? Silenzio... solo il rumore di un traffico ordinato ma comunque un po' congestionato. Ogni tanto passa il tamarro di turno con la nuova hit di ‘discotruzzeriaaraba’ a palla, ma è l'eccezione e non la regola. Il tono di voce che usano per strada è molto più sommesso del nostro siccome noi, come ogni italiano che si rispetti, ce ne andiamo in giro a parlare e a ridere ad alta voce sovrastando la quieta Giordana che più di paese arabo sa di nord europa.
                                                                                                                                                                                                       
Quinto: la Giordania è un paese arabo e quindi è un paese di emigrazione.
Mai idea fu più sbagliata. 
La Giordania è il paese che ha ospitato il maggior numero di Palestinesi, 1.700.000 dal 1948. Più recentemente ha ospitato molti iracheni un fuga dal conflitto del 2003 e proprio ora si sta attrezzando alla frontiera nord per ospitare i profughi siriani che già hanno cominciato ad abbandonare il loro paese.
Inoltre molte famiglie più o meno benestanti della capitale si avvalgono dell’aiuto di domestici stranieri, provenienti soprattutto da Filippine, Sri Lanka e Indonesia. In tutto i collaboratori domestici sono circa 70.000, 
non pochi se rapportati alla popolazione Giordana che raggiunge appena  i 6 milioni di individui.


Sesto: La Giordania è un paese caldo.
Che in linea di massima è vero… però a volte in inverno nevica anche ad Amman, la temperatura scende sotto lo zero e fa freddo, molto freddo. La maggior parte delle case sono costruite per rimanere fresche durante l’estate e quindi con la pioggia e la neve diventano umide e gelide e questo l’abbiamo proprio sperimentato sulla nostra pelle trascorrendo 4 giorni sepolti  sotto le coperte abbracciati a delle bottiglie piene di acqua quasi bollente nel tentativo, abbastanza vano, di scaldarci un po’.

Ma ora è tornato il sole e la primavera fa sbocciare i ciliegi per le strade di Amman, illuminando i mille volti di questa Giordania ancora tutta da scoprire e che non smette mai di sorprenderci.

giovedì 8 marzo 2012

Sono una donna

Oggi è l'8 marzo, festa della donna.
Eccovi una bellissima poesia di un'autrice araba, Joumana Haddad, come gesto di solidarietà per tutte quelle donne, arabe e non solo, che lottano ogni giorno per i loro diritti, per la loro libertà, per essere ciò che vogliono essere, per scegliere semplicemente se stesse.

SONO UNA DONNA

Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e io avvengo.
Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della mia prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio
desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.







venerdì 10 febbraio 2012

Raccontandomi del mondo

Qualcuno mi ha detto che bisogna cominciare a scrivere in questo blog, che devo innanzitutto presentarmi… non mi è mai piaciuto presentarmi… raccontarmi non è nelle mie corde… parlare di me mi annoia a morte.
Ma amo raccontare….


Amo raccontare i libri che ho letto quando  li ho apprezzati al punto da non potere tenerli egoisticamente solo per me, amo raccontare i pasticci che combino, quelli sì, sono l’unica parte di me che non mi fa annoiare a morte, e poi amo raccontare dei cieli che ho visto, dei volti che ho incontrato, dei panorami che ho ammirato, delle musiche che ho ascoltato e delle parole che mi hanno colpito. 
E forse sì, facendo questo mi racconto attraverso il mondo, mi racconto attraversandolo.


Sono in ogni strada che ho calpestato, nel volto del bambino e nel sorriso della donna che ho incontrato, mi nascondo subdolamente dietro la vergogna di non sapere donare nulla, neanche una parola di conforto, al mendicante che tende la mano, sorrido con il sole e piango con la pioggia affidando ogni mio pensiero all’aria e al vento. La mia fede è semplice, è nel sole, nella   luna, nelle stelle che mi raccontano di una realtà infinitamente più grande e più importante di me. Percepisco l’amore che cura e risana le ferite del cosmo e cerco di esserne parte ma la paura talvolta me lo impedisce. Osservo un ruscello di montagna e lo invidio, vorrei anch’io essere cristallina e serena come le sue acque, vorrei anch’io scorrere inesorabilmente verso l’oceano della vita senza timori, serena nella consapevolezza che per ognuno di noi c’è una strada che conduce esattamente dov’è giusto andare. 
Sono in ciò che mi circonda, in me non vi è nulla che mi appartenga veramente neanche la stessa vita che mi anima.


E allora come fare? Come fare a parlare di me? 
L’ho già fatto… è vero, avete ragione, quasi non me ne sono accorta e magari vi ho anche annoiati a morte.
La verità è  che mi incontro nel mondo, mi rispecchio nei volti di chi mi circonda, la natura parla delle mie radici e l’universo mi ricorda come ridimensionare tutte le cose insegnandomi a non dare troppa importanza a me stessa, anche se non sempre è così semplice.
E che questo viaggio in Giordania sia un’altra occasione per incontrare altri pezzetti di me sparsi nel cosmo… un’occasione che mi permetta di raccontare la realtà che mi circonda con più profondità, con più consapevolezza, e, perché no, di raccontarmi attraverso i volti, i profumi, le sensazioni…
…  attraverso il mondo.