Il venerdì io e Magda ci
guardiamo con aria perplessa. E’ di nuovo venerdì? Sembra di sì.
Cosa sarà mai successo
in una semplice settimana di Marzo, in un posto così sperduto da
essere il centro del mondo?
E’ un lunedì quando mi
scopro inginocchiata e ricoperta dai rami di palma che Tchomba -il
momento prima encadreur kindulese, quello dopo Tarzan- ha appena
spezzato; sto cercando la sua penna smarrita in mezzo alla foresta,
mentre un metro più in là si sfoggiano l’abilità infantile del
taglio con il machete e la brillante emulazione di Magdusha. E’
lunedì quando per trovare rifugio da un temporale ci ritroviamo in
una chiesa capanna con una mano al petto e intoniamo con ‘estrema
convinzione’ l’inno di Mameli circondate da un pubblico di
bambini in visibilio. E’ sempre un lunedì quando scopriamo una
pianta che ci spara semi addosso come dei proiettili-la forza della
natura kindulese, con la sua pacifica aggressività.
Di martedì incontriamo
Mbweta e Barthelex, ed è come se ci conoscessero da sempre; entriamo
nelle dimore di un commerciante di capre (alloggio anche dell’amico
topo) e della più anziana donna congolese mai vista sinora a Kindu-
ben cinquantatre anni di attività, dieci figli e la voglia di
mettersi ancora in gioco. Non mangia pollo. Qui è un lusso. A
proposito di polli, sempre di martedì scopriamo che l’équipe con
cui lavoriamo è convinta che in Italia ne mangiamo due, di polli, al
giorno ogni giorno. Martedì nasce anche la prima ChiaraMagda.
Il mercoledì andiamo
lontano. Attraversiamo la foresta. E poi la savana. E poi ancora la
foresta. Impariamo lo swahili, e scopriamo che tunapenda sana
kizalikio. Siamo in moto. Grande stagno. Scendiamo. Attraversiamo le
acque. Siamo nuovamente in moto. Ci fermiamo a mangiare en cours de
route. E davanti a noi c’è un albero crollato che sembra la più
sublime opera d’arte. Problemi alla prima, alla seconda, alla
terza, alla quarta moto. Ci fermiamo. Quattro volte. Più o meno in
mezzo alla savana. Ridiamo troppo. Siamo in moto. Strada interrotta
da una parata militare. Ci fermiamo. Spettacolo senza pari. Vediamo
il generale Tango Four (non ero neanche sicura esistesse tanto era
oramai una leggenda; se vuoi sapere a chi appartiene il mondo, a
Kindu, la risposta è sempre generale Tango Four). E’ un uomo tanto
ricco quanto piccolo. I militari marciano. Sembra fatichino a rimaner
seri. Una parodia. Le donne osannano euforiche i loro mariti/eroi,
intonano canti e li ‘accecano’ lanciando in faccia tonnellate di
borotalco (segno di vittoria, ci dicono.) Simulano un combattimento.
Sparano. La gente urla, si nasconde. Spaventata e divertita. Ricorda
i tempi della guerra, ma va bene. Sono fieri di avere un tale
esercito che li difenda in caso di attacco. Grazie alle protuberanze
degli alberi delle foreste e ai fantastici fuoristrada dei militari
belgi e delle autorità, la terra diventa la nostra seconda pelle.
Non siamo più mzungu (europee/bianche). Evviva. Una doccia, il nero
va via e torna l’appetito. Hanno trovato un sinje e lo si mangia
assieme. Non è un singe (scimmia), ma un parente obeso del
porcospino.
E’ giovedì quando ci
vestiamo en pagne, lo stesso pagne che indossano tutte le donne
invitate alla nostra festa. Non reggiamo il confronto. Sembriamo più
pallide del solito. Ma l’euforia della cittadina per questo nostro
travestimento è alle stelle. Incontriamo un gruppo di esaltati che
teneva stretto un uomo. Una confusione assordante. Le donne cercano
di fermarli. Chiediamo cosa stia succedendo. Un gruppo di uomini
aveva bloccato un pazzo accusandolo di stregoneria e, urlando
qualcosa a noi incomprensibile, lo trascinava a forza. I muratori
ancora a lavoro mentre gli altri fanno festa, approfittano della
musica imperversante e improvvisano balli tra le impalcature. Era
giovedì quando i nostri bellissimi colleghi ci hanno chiesto se
fossimo mai state sulla luna.
Lista di candidati per il
servizio civile in Congo. Ci sono. Poi non ci sono più. No. Perché?
Avevo preparato tutto, ci credevo davvero. Forte Agitazione. Mi
sveglio. Era un sogno? Realizzo che ci sono già, a Kindu. Sono
felice. Sono ancora le 3h30 am, ma i miei vicini sono svegli come
sempre. Spaccano la legna e fischiettano la solita semplice melodia
che mi tiene tanta compagnia prima di addormentarmi. E’ già
venerdì. Siamo a colazione con il professorino universitario che
alloggia qui in procura. Ci fa una vera e propria lezione di storia
del Maniema. E’ fantastico ascoltarlo date la nostra smisurata
curiosità e la carenza di documenti in merito. Mentre in moto io e
Bandal parliamo di questioni di vitale importanza (hai mai tagliato i
capelli dalla nascita? ecc.), siamo costretti a rallentare. C’è
una processione interminabile di persone. Tanto brusio. Cosa è mai
successo? Hanno ucciso un uomo. Oh, no. Perché? Bandal ride. L’hanno
sorpreso a rubare. Benissimo! Malissimo. I pareri in proposito sono
troppo discordanti. Cerchiamo di spiegare il nostro punto di vista,
ma sembra che su questo non si possa tanto discutere. Nel frattempo
un insegnante di geografia dice ai suoi alunni che la capitale della
Malesia è Singapore.
E’ sabato e ci troviamo
in uno stanzino buio, pieno zeppo di gente. C’è un odore
fortissimo. Risultato di troppi odori forti. Ci sono bambini sdraiati
qui e là su tappeti di paglia. Lo chiamano hopital, ma in realtà di
ospedale ha solo il nome e le due siringhe poggiate su una sporgenza
tra il muro e la porta. Siamo qui per Tchombino (così da noi
ribattezzato), il figlio del nostro caro amico. Sembra che le
siringhe siano state utilizzate per fare una trasfusione. Pensiamo
inizialmente sia un problema linguistico e che non abbiamo capito; e
invece no. Hanno preso il sangue dal braccio del padre e lo hanno
trasferito nella testa del bambino. Ci preoccupiamo, facciamo
domande, ma il gruppo sanguigno, ma l’igiene, ma [..]. Questo è un
paese in cui a volte le domande sono inutili; i forti e i fortunati
ce la fanno. E Tchombino è fortissimo, come il suo papà.
La settimana volge al
termine, è il giorno del riposo, è domenica. E ci aspettiamo sempre
una nuova meraviglia. Siamo appiccicate ad una trentina di persone in
piroga, tra i richiami sbraitanti degli altri piroghieri. Sguazziamo
a piedi scalzi nel fango per chilometri, ci laviamo nel fiume per poi
sprofondare di nuovo nel fango. Siamo con il naso all’insù sul
retro di un pick-up sotto il cielo più bello che mai di Kindu,
mentre masse di bimbi sbucano da ogni angolo della strada intonando
un arrivederci che suona come un dolcissimo urlo da stadio (ohohoh!).
Siamo lungo il meraviglioso fiume Congo ad una cena che sembra un
summit internazionale mentre osserviamo piroghe stracariche di ogni
che, tornare da infiniti giorni di viaggio dalle ‘vicine’ città.
Sono a CASA sdraiata sul prato, Magdusha alla mia destra, Enrico alla
mia sinistra. Il nostro maestoso e rassicurante albero di mango, alle
nostre spalle, ci fa da guardia, come sempre. Siamo letteralmente
circondati da stelle. E’ una notte magica a Kindu.
E se il lunedì mattina
successivo comincia con il nostro Babbo Natale belga che ci porta in
dono papaie e biscotti, un’altra settimana si prospetta sucrée e
breve, quasi infinita :)
Chiara
Chiara
Che bello leggerti! Grazie Chiara!
RispondiEliminaWow. Le convinzioni degli abitanti di Kindu sui bianchi. E la notte a Kindu. E la donna più anziana di Kindu. E la parata celebrativa. Lunedì hai trovato la penna di Tchomba, poi?
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