venerdì 11 maggio 2012

Senza una via...

La scorsa settimana per la seconda volta siamo stati in visita in un internat per proporre alle ragazze di entrare a far parte del progetto “Spre indipendenta”. Questa volta a differenza dell'altra abbiamo anche parlato individualmente con le ragazze perché l'internat è lontano da Orhei e quindi potrebbero non esserci altre occasioni.

I colloqui con queste sei ragazze ci hanno offerto un piccolo spaccato di quello che è un internat, sicuramente ci hanno permesso di capire di più ma soprattutto ci hanno toccato dentro. Tutte le storie delle ragazze non sono delle più facili, colpisce che nessuna di loro sia orfana ma che tutte quante siano state portate all'internat dalle famiglie.

La storia che però più di tutte ci ha toccato è quella di N., una ragazzina di 18 anni portata all'internat dalla madre ormai alcuni anni fa. Suo padre è un alcolista, violento con la madre e con lei e non lavora da molto tempo. Sua madre lavora come venditrice in un negozio di materiali per la costruzione. La madre di N. e sua sorella di 10 anni vivono ormai fuori di casa e sono ospitati dalla nonna. Quello che rende la storia di N. più difficile da digerire è che lei, oltre ad avere una famiglia con tanti problemi come le sue compagne, ha anche un ritardo mentale abbastanza evidente e un handicap fisico ai piedi (che non le permette di stare in piedi per molto) e probabilmente in maniera più ridotta anche alle mani. In un paese come questo dove chi si impegna non trova sbocchi e chi esce dagli Internat ha ancor meno possibilità, che possibilità ha una ragazza con questa storia?

Il nostro interrogativo è stato questo, provato insieme all'impotenza di fronte ad una situazione che anche il progetto che andavamo a proporre (studiato proprio per ragazze uscite dagli internat) avrebbe difficoltà a gestire. N. vorrebbe fare la sarta (come tante ragazze dall'appartamento hanno imparato a fare) ma non ha mai neanche provato a cucire, lei più di tutte avrebbe bisogno di un aiuto ma non so se “Spre indipendenta” potrebbe esserle utile. Una storia come questa ti colpisce, ma ti spinge anche, ti spinge a dare il massimo, a lavorare perché le persone abbiano possibilità. I progetti nei quali lavoriamo vogliono proprio questo, ridare delle possibilità a persone che non le hanno.

1 commento:

  1. Ho il nodo alla gola attenuato un po’ da quello che dici sul vostro lavoro

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