mercoledì 28 marzo 2012

UN COMMERCIO CHE NON SENTE LA RECESSIONE E SFRUTTA LE CRISI



Che rottura questi tipi di Stoccolma del Peace Research Institute (SIPRI): devono sempre ricordarci che si producono armi e che poi si vendono, e che poi si usano!


Ma veniamo alle good news: in questi tempi di crisi qualcosa va bene, qualcosa funziona!


Pensate che in questi ultimi cinque anni il commercio legale di armi è aumentato del 24%, mentre quanto aumenti il traffico illegale è sempre un mistero.


Ed ora il podio: al primo posto medaglia d’oro all’Incredible India che è balzata sul gradino più alto come importatrice mondiale di armi. Si legge in un articolo dell’inglese The Guardian che il Paese di ex-ghandiana memoria spenderà nei prossimi 15 anni circa 100 miliardi di dollari per potenziare e ammodernare il suo arsenale. Certo attorno allo Stato indiano ci sono certi Paesi pericolosi fra cui Cina e Pakistan… Questo sì che è sviluppo…


Dimenticavo: pensate che l’India è anche prima in classifica per il numero di lebbrosi nel mondo, circa 100.000 nuovi casi all’anno pari al 70% del totale mondiale. E la lebbra è la tipica malattia dei poveri, che da quelle parti si chiamano Dalit, fuori casta, che sono emarginati, mangiano male e vivono in condizioni igienico sanitari disumane.


Al secondo posto la Corea del Sud che non può farsi mancare niente visto i nemici fastidiosi del Nord… Mentre al terzo posto si trovano appaiati ex aequo Pakistan e Cina per tranquillizzare al di là del confine i pronipoti del venerabile Mahatma.


Singapore è solo quinta, giù dal podio per poco. A parte che mi domando cosa se ne faccia questo Paese di tutte queste armi ma, soprattutto, essendo Singapore estesa poco meno della Valle D’Aosta (694 kmq), dove le mettono?


Altre buone notizie arrivano dalla classifica sorella alla voce “Esportatori di cose buone dal mondo”: ci siamo anche noi nella Top Ten; nonostante i nostri problemi economici e i tagli e le tasse esportiamo alla grande!


Ma partiamo dall’all’altro: al primo posto sempre lo Zio Sam che si sarà anche un po’ rammollito in Iraq prima e in Afghanistan oggi, però quanto a fiuto su dove sviluppare marketing armaiolo non lo batte nessuno.


Al secondo posto una rinvigorita Russia putiniana che, tra una bottiglia di Vodka e un Kalashnikov (AK 47 per gli amici), vende bene il proprio made in URSS… ops, scusate le mie reminiscenze giovanili, made in Russia.


Al terzo posto, con un balzo incredibile, la Francia che, in crisi con i vini bougeolet, rasserena la propria opinione pubblica sul senso della propria grandeur con le canzoni della premiere dame e con la vendita di cacciabombardieri; oui, c’est la vie!


Un consolidato quarto posto per la Cina, ma tranquilli si sta organizzando per salire presto sul podio che l’Africa, si sa, è vicina.

Quinto posto per la Germania di Angela che, sconfitta nelle elezioni nei Land di Sassonia e Pomerania, perde due posizioni anche nell’export dei Panzer.


Al sesto posto sventola la Union Jack sempre in forma nonostante gli anni di monarchia a Buckingham Palace sulle spalle di Elisabeth e con Carlo che non mette la Corona a posto.


E, finalmente, con una ripresa lenta ma inesorabile, il bel Paese tutto pizza e fichi e mandolini, dove i santi, i navigatori e i politici corrotti non mancano mai! Risaliamo dall’ottavo al settimo posto e scusate se è poco in questo tempo di vacche magre.


Che dire per concludere? Possiamo dirci soddisfatti nonostante una certa parte retrograda di opinione pubblica nostrana cerchi con fatica di indignarsi un po’ e prova a sostenere la campagna contro la costruzione di così tanti cacciabombardieri F35; è vero che la nostra ammiraglia (la portaerei Cavour, gioiello di tecnologia marinara) rimane ormeggiata a La Spezia perché costa troppo e i  brasiliani non la comperano, ma ci rimane la comune e italica soddisfazione di un export bellico che decolla anzi, è il caso di dirlo, vola veloce come un caccia Eurofighter!


Per chi volesse continuare a leggere di queste cose relative al rapporto http://www.sipri.org/.

Alberto

martedì 27 marzo 2012

Finalmente un po' di foto dalla Bolivia...meglio tardi che mai!!

Da "Il libro della Giungla"...






mercoledì 21 marzo 2012

Acque mediterranee

Dal Nord Africa all’Oriente Medio e soprattutto Vicino


Certo è passato “molto” tempo dall’inizio delle primavere Arabe, ne sono cambiate di stagioni… Infatti, come al solito in Italia, di vicende esterne al Bel Paese si fatica a parlare ed ancora meno a leggerne! Così stanno cambiando molte cose al di là della costa del Mare Nostrum: ci sono state molte altre manifestazioni in piazza, alcune prime elezioni con risultati parziali ma significativi (Egitto e Tunisia…), c’è ancora un Paese come la Libia senza il Rais, più o meno diviso, dove non si capisce chi  governa e come; la cosa certa è che il petrolio si pompa, gli accordi commerciali si rispettano e gli immigrati tornano nuovamente in crociera a Lampedusa! La questione regionale è aggrovigliata e complessa in questi Paesi e soprattutto non si è concluso nessun processo di democratizzazione. La gente è delusa perché avverte che gli sforzi per rivendicare i propri diritti sono stati sfruttati da altri per il mantenimento del potere, si pensi ai militari in Egitto e ai molti dirigenti e funzionari politici e amministrativi in Tunisia che sono rimasti ai loro posti.

A chi conviene tutto ciò?

Sicuramente non alla popolazione che è scesa con coraggio in piazza! Questa situazione serve all’Europa, all’Italia? A cosa è funzionale questa soluzione ancora in divenire? Certo la Libia è un punto nevralgico per le fonti energetiche e qui si vede come gli interessi nostrani siano ben controllati e difesi, ma per il resto dei diritti e delle libertà di queste popolazioni sembra proprio che ci interessino solo per esercizi di eloquenza e retorica politica nei vari palazzi romani.

Un altro caso che conferma la regola è la vicenda siriana, anche se sarebbe meglio dire il dramma, la guerra civile! La Comunità internazionale, come è chiamata negli ambienti (cosa poi avrà di Comunità questo insieme di interessi nazionali tra le due coste dell’Oceano Atlantico…), pensa bene di mantenere una posizione di stallo Che Poi Si Vedrà; ogni tanto si decidono nuovi embarghi, qualche sgridata verso iI Potere (Assad), contando sul puntuale veto russo-cinese… Intanto sono migliaia i morti dal marzo del 2011 nelle principali città della Siria. Tutti sappiamo che la questione è Regionale, dalla Siria la questione passa al Libano, con gli Hezbollah, a seguire in Israele per rimbalzare fino all’Iran e alla sua “energia atomica”… Diatribe interne con altri attori del Medio e anche Vicino Oriente come lo scontro confessionale e di potere tra Sciiti e Sunniti: c’è già stata una carneficina in Iraq.

Veduta di Amman

E allora entrano in scena, anche se spesso sottotraccia, l’Arabia Saudita, il Qatar con la sua omnicomprensiva emittente Al Jazeera… Sicuramente il 2012 non sarà l’anno dei Maya e della loro profezia, bensì l’anno cruciale per tutta la Regione Mediorientale. Non dobbiamo dimenticare poi che sempre nell’Area ci sono partite aperte come l’Iraq e questioni ancora più a Est come l’Afghanistan e l’obiettivo della ritirata nel 2014. Oltretutto il business dei papaveri è in continuo aumento in quelle terre e c’è proprio da chiedersi se tutta questa presenza militare internazionale non possa proprio niente per eliminare anche parzialmente questo traffico che è sotto gli occhi di tutti! Ma di per sé è proprio in Occidente che ci sono i meglio consumatori di droga e quindi il business è business…

Rimanendo un poco in zona c’è sempre il Pakistan (con le sue atomiche e le Madrasse) e l’India che non possono rinunciare a darsi battaglia e a guerreggiare, oltre che per il loro Kashmir anche per mantenere relazioni non troppe lecite con le terre dei nuovi Talebani e soci! Volendo rincasare da questo breve tour, si può proprio partire da Kabul per far ritorno verso l’Oriente Vicino e Medio, passando dalla Turchia sempre in bilico su un confine e una visione espansionistica EuroAsiatica, con il nodo curdo irrisolto e sepolto… che ritornando in Siria trova alleanze ambigue e sospette.

Concludendo con una speranza: invito tutte le persone libere e di buona e consapevole volontà perché possano far sentire la loro voce e dire, magari a volte urlando, il proprio sì alla pace e ai diritti dei popoli, e un no alla guerra che come risultato porta sempre ad un disastro e alla disumanizzazione dell’uomo. Facciamo la nostra parte per favorire una più ampia coscienza critica in Italia, là dove viviamo, studiamo, lavoriamo! Ben venga che tornino a sventolare in piazza, ma anche dai balconi e dalle finestre le bandiere della pace per la popolazione siriana e per tutti quei popoli che soffrono a causa delle solite guerre preventive, o di interventi pseudo umanitari fatti di bombe intelligenti e danni collaterali!


Concludo condividendo una parafrasi di un antico storico:

“Ne fecero un deserto e lo chiamarono Pace” (Tacito)

Alberto

martedì 20 marzo 2012

La 'Storia' è relativa

20 Marzo 2012
Roberto Fallini, Beirut

“Isn’t it always the victor who writes history?” asks student Khaled Muhammad, before quickly responding: “Certainly, but who won in Lebanon? It is a turning wheel. If we have to change history every time the government changes…we will never learn anything.”
("Non è sempre il vincitore che scrive la storia?" chiede lo studente Khaled Muhammad, prima di rispondersi velocemente: "Certamente, ma chi ha vinto in Libano? E' una ruota che gira. Se dovessimo cambiare la storia ad ogni cambio di governo..non impareremmo mai niente".)

Dichiarazione di uno studente palestinese in seguito alla polemica scoppiata nelle scorse settimane sulla scrittura dei libri di storia da adottare nelle scuole libanesi.
Tratto da:
http://english.al-akhbar.com/content/writing-palestine-out-history-books-lebanon

dodici manghi al giorno

ovvero, prime immagini nica


Il tetto di lamiera che sbatte ad ogni colpo di vento

Una dozzina di bei manghi maturi che tutti i giorni (e notti...) cadono dall'albero del vicino, con un tonfo sul tetto e poi dritti nel patio




Primo bagno in un cratere vulcanico in mezzo alla foresta e fare colazione guardando le scimmie 

 

Un dito di terra e polvere ovunque, portate dal vento, che per quanto tu possa pulire torna immediatamente a riformarsi

L'odore di plastica bruciata nella discarica e fogna a cielo aperto, che alle 7 del mattino ti da il benvenuto a Nueva Vida


 

I bambini che ti salutano per la strada con un 'hi, gringa'

I bambini dei vicini che invece ti salutano con un 'arrrrivederrrci' (con tutte le erre del caso)

Salire tutte le mattine su un bus che altro non è che un vecchio scuolabus yankee, stile 'Forrest Gump', pitturato e agghindato in versione 'nica' 



Scoprire che se non passa il 'basurero' a ritirare la spazzatura, ci penserà il cane del quartiere a spargerla in giro per il vicinato

Ron Flor de Caña (rigorosamente invecchiato sette anni), meglio se con ghiaccio e lime














Il Pacifico al tramonto 


E, ovviamente, molto, molto, molto altro...! 

lunedì 19 marzo 2012

Cartolina dal Buio

Roberto Fallini, 15 Marzo 2012.
Beirut, Libano.

Periferia sud di Beirut, Libano. Domenica pomeriggio. L’inverno sembra aver dimenticato di lasciar posto alla primavera. Il cielo è terso, la temperatura bassa ed un timido sole tenta di spezzare una settimana di pioggia ininterrotta.
Con un gruppo di amici percorro la strada che da Tayoune Square conduce nei quartieri sud della città, l’area conosciuta comunemente come Dahieh (sobborgo in arabo), zona sciita, duramente colpita durante il terrificante attacco israeliano dell’estate 2006. Nuovi palazzi ricostruiti negli ultimi anni ovunque cozzano con edifici in stato d’abbandono, semi-distrutti, crollati durante i bombardamenti. Il quartiere più importante della zona è decisamente Haret Hreik, roccaforte di Hezbollah, interamente ricostruito dall’organizzazione Jihad al-bina’ (Sforzo per la ricostruzione), che fa capo proprio al movimento di Hassan Nasrallah.
Non lontano da questa zona ci appare un assembramento di costruzioni, fatiscenti, schiacciate l’una sull’altra. Una mano invisibile sembra aver disegnato un perimetro, visibile persino agli occhi di un distratto visitatore, che marca territorialmente aree ben distinte. Al suo interno, si estende per un chilometro quadrato il campo profughi palestinese di Burj el-Brajne.

Giunti nel 1948, momento della creazione dello Stato d’Israele e inizio della diaspora palestinese, i rifugiati palestinesi in Libano vivono tuttora in condizioni d’indigenza e precarietà. Secondo le statistiche di Human Right Watch, sono ad oggi circa 300,000 e la maggior parte vive ancora nei campi profughi costruiti nel 1949, sopravvissuti alla guerra civile e caoticamente ampliati per far fronte all’aumento di popolazione. Privi della cittadinanza libanese, del diritto di proprietà privata e della possibilità di esercitare circa 25 fra le professioni più desiderabili, i palestinesi soffrono di gravi problemi economici ed di inclusione nella società libanese.

All’interno del campo di Burj el-Brajne, cinque persone straniere non possono percorrere pochi metri senza essere notate e presto veniamo avvicinati da ragazzo, Ahmad (1) “Cosa fate qui?” è la prima domanda, “Chi siete venuti a visitare?”, la seconda. Curiosità e preoccupazione accompagnano l’avvistamento di stranieri, i turisti non visitano un campo profughi e i giornalisti non sono generalmente benvenuti. Anche in condizioni difficili, l’ospitalità araba non viene tuttavia dimenticata e poche parole sono sufficienti per far leva su questo antico valore, talvolta dimenticato in Occidente. Accertatosi della nostra nazionalità, un passaporto europeo, italiano in particolare, suscita spesso un’immediata simpatia, Ahmad si offre di accompagnarci in una visita guidata alla “prigione di Burj el-Brajne”, così la definisce. Il sole è calante, ma c’è ancora parecchia luce. Tra i minuscoli vicoli del campo invece regna l’oscurità. (2) “La corrente manca per 15/16 ore al giorno” racconta Ahmad, “e i generatori -molto diffusi in Libano date le costanti interruzioni di elettricità in ogni zona del paese- costano troppo per le famiglie di Burj el-Brajne”. Mediamente un nucleo familiare guadagna circa 300-400 dollari al mese e risulta proibitivo spenderne un terzo per collegarsi ad un generatore. Ovunque, le stradine infangate sono sovrastate da fasci di cavi elettrici, inutili per gran parte della giornata. Alcuni penzolanti, altri scoperti. Sul muro di un edificio, la nostra guida improvvisata ci mostra un marcato alone nero. “Un uomo è morto qui lo scorso anno, stava pulendo il vicolo quando alcune scintille sono cadute da un cavo elettrico scoperto. C’era dell’acqua a terra, è stato fulminato. Allo stesso modo un ragazzo è morto là in fondo. Aveva 18 anni ” -continua indicando un anfratto buio. Quando piove molte stradine diventano estremamente pericolose e camminarci impossibile. Sono scioccato. Fango e pozzanghere sono dovunque sotto i nostri piedi, ma la vita intorno a noi scorre normale, come se l’imminente pericolo fosse parte di una consolidata quotidianità per gli abitanti del campo.
I bambini si rincorrono nei vicoli, alcuni sono attratti dalla presenza di stranieri e si battono per entrare negli obiettivi della Canon di uno dei miei compagni. I sorrisi e la spensieratezza contrastano con quanto li circonda. “Anch’io ho una bambina -rivela Ahmad- si chiama Leyla”. Una foto compare sullo schermo del suo cellulare, ritraendo un sorriso senza denti tipico dei bambini di quell’età. “Ha quattro anni e soffre di bronchite cronica. Questi vicoli non le permettono di respirare bene”.     
Il sole non c’è più e l’oscurità aumenta, dando l’impressione che Burj el-Brajne sia davvero una prigione. I vicoli sono molto stretti, e spesso, nel cuore del campo, permettono solo di camminare in fila indiana. Le case si schiacciano le une sulle altre, lo spazio diventa un concetto astratto. “Chiedi a chiunque qui dentro (il campo ndr), riguardo alle proprie aspirazioni. Tutti ti diranno che vogliono andare via, non si può vivere così”, mi confida Ahmad, mentre si accende una sigaretta.

I poster di Yasser Arafat e le bandiere palestinesi colorano i muri grigi. Avvistiamo l’uscita del campo e ci congediamo da Ahmad. “Ma’ salama (andate in pace) -risponde lui -è stato un piacere. Ah, non scattate fotografie all’uscita, non è sicuro”. È buio ormai. Silenziosi, proseguiamo la passeggiata nella Dahlieh.


(1)Ai personaggi che compaiono nel racconto sono stati assegnati nomi di fantasia.
(2) La prima foto ritrae uno dei vicoli più larghi del campo.
 Fonte:http://lebanonworkinprogress.wordpress.com/dai-testimoni-ricostruzione-storico-politica
Fonte seconda foto: http://mondoweiss.net/2012/02/the-palestinian-refugees-of-lebanon.html

venerdì 16 marzo 2012

917 giorni senza presidente

Papà ieri su skype mi ha detto di scrivere tanto sul blog, anche post veloci. La notizia in realtà richiederebbe un bell'approfondimento anche perchè della realtà politica moldava non si sa nulla. Si può intuirne la complessità se si pensa che erano 917 giorni che la Moldova non aveva un Presidente perchè l'Alleanza al governo non riusciva a mettersi d'accordo. I comunisti chiedevano da tempo, con molte manifestazioni qui nella capitale (in cui si sentiva cantare Bandiera rossa!), elezioni anticipate. Non sono più necessarie: è appena stato eletto Nicolae Timofti. "Giornata storica, sensazionale" sono i commenti dei giornali. Qui in ufficio sono tutti entusiasti. Anch'io mi sento un pochino partecipe.

mercoledì 14 marzo 2012

sono qui per loro



Per chat Mariana mi dice di domani: all’appartamento sociale si farà una şezătoare.
Anna mi aveva già spiegato il significato di questa parola, io subito mi ero appigliata al francese che non so perché mi viene sempre in mente anche se qui serve il rumeno, il russo (a saperlo!), l’inglese, al limite l’italiano.. ma il francese.. giusto per memorizzare la parola: da “chaise”, immagino, sedia, perché consiste nei lavori manuali che fanno le ragazze o donne tutte sedute insieme tipo la maglia o cose del genere. Ma forse non c’entra niente!
È da più di due settimana che fremo dalla voglia di conoscere le ragazze dell'appartamento, sostanzialmente sono qui per loro, ma abbiamo sempre rimandato tra una visita medica e l’altra per il permesso di soggiorno (su cui seguirà, se opportuno, un post specifico).

Ora si tratta di andare: sono tornata da poche ore da una vacanza stancantissima a Iaşi in Romania, ma sono contenta di rifare lo zaino. Vasile, l’autista di Diaconia, mi accompagna a prendere il bus (costa ben 18 lei, poco più di un euro, ma i bus urbani costano appena due lei, sono davvero economicissimi), Oleg mi ha dato un foglietto: Vasile Lupu, devo scendere proprio nel centro di Orhei
Mi vengono a prendere due ragazze, Cristina e Carolina, e incominciano a spiegarmi come si dice fango in rumeno (per dirmi di stare attenta mentre rispondo a Mariana che chiede se sono arrivata sana e salva). Metto giù il telefono e confesso alle ragazze di non aver capito nulla: addirittura lei mi diceva Orhei e io capivo okay: questo non è un problema di lingua! Loro ridono.
All’appartamento mi introducono subito nel lavoro coi volontari locali che stanno giocando a  “mafia”; io lo conoscevo con un altro nome, Lupi e contadini. La prima e ultima volta ci ho giocato a Bethlehem: bei ricordi, promette bene!

Poi facciamo la şezătoare. Sono tutte ragazze con dei grossissimi problemi in famiglia che ricadono poi su tutto il resto, ma le loro storie personali è bene che rimangano personali (leggerle dopo averle conosciute assicuro che non è facile), qui conta sapere che Anuşca mi ha sistemato il mărţişor che mi avevano regalato, Anea mi fa vedere come si fa il pane, con Anisoara (son tutti diminutivi dello stesso nome, Anna, a quanto pare molto diffuso) faccio dei dolcetti di Post, con Carolina la pizza di Post (con una maionese senza uova al posto del formaggio di origine animale), Julia fa vedere il libro di classe (altro che le misere foto che facciamo noi: qui si usa fare un vero e proprio libro di fotomontaggi con le foto dei ragazzi e dei professori su sfondi paesaggistici e abbaglianti) e che dire di Cristina? Mi sembra la più estroversa che si prende cura di me che “non capisco” (ogni riferimento a motti betlemmiti è puramente casuale).

La sera dormo a casa di Christina, la volontaria ortodossa americana, con la quale ho un ottimo scambio italo-inglese-americano (mi ostino sempre a sperare che se qualcuno mi dice “ciao” allora poi possa capire anche tutto il resto in italiano). Vive da mesi in una casa senza acqua corrente perché per i moldavi è una situazione abbastanza comune e lei si vuole integrare. 
Il giorno dopo arriva Marco con Oleg e si fa la riunione in cui ovviamente non capisco niente perché parlano tutti veloci di problemi di cui non so nulla. Non importa, sono contenta, ho iniziato.

martedì 13 marzo 2012

Bye Bye Babylon

Mi ha detto Paolo che il libro "Bye Bye Babylon" non è un graphic novel, ma un romanzo illustrato...In sintesi tra le righe non è un prodotto per soggetti diversamente  adulti...

Comunque per gli amanti delle terre Sante medio Orientali, consiglio questo coso...si legge in fretta si guardano i disegni con più calma è necessario. Probabilmente una certa dimestichezza con le faccende libanesi e medio orientali potrebbe risultare utile. Leggetelo se volete e sappiatemi dire...dimenticavo che siete fuori...quindi quando tornate dentro potreste immergervi in questa lettura...

 Il libro esiste per davvero è appena stato sfornato per i tipi di Rizzoli.

Era solo un blog spot relazionale di prova per imparare a scrivere, per leggerVI mi sono già attrezzato.

Alberto Non Solo Photo

... ma l'anima arriva camminando


10 marzo 2012.

Oceano Pacifico.

Orario indefinito in una meravigliosa notte di luna piena e stelle.

Me ne sto qui accoccolata su una seggiola di bambù a pochi metri dalla spiaggia ascoltando il vento, le cicale e il latrare dei cani in lontananza.

Finalmente un momento per me, per ascoltare ed ascoltarmi. Nonostante la stanchezza, l'ho cercato perchè ne ho bisogno.

Così mi chiedo: io come sto?

L'ho notato già da alcuni giorni e ne sono quasi stupita... io mi sento proprio serena, e questo è un gran buon segno! Poi faccio un tentativo di riflessione più approfondita riguardo a queste due prime settimane di servizio ma mi accorgo che non ci riesco, che, in generale, è come se mi stesse sfuggendo qualcosa: il senso di questa esperienza, il tempo, la profondità... forse le cose che vivo, i posti bellissimi e bruttissimi che vedo, le persone che incontro, devono ancora tutte acquistare spessore, tridimensionalità.

Due settimane in fondo potrebbe essere la durata di una vacanza, e in una vacanza spesso non riesci a far tue tutte le cose, ma semplicemente passi e vai. Io invece resterò. E spero che in questo restare andrà a prendere forma e spessore ai miei occhi quest'esperienza che è già realtà e che ha solo bisogno di essere vissuta, fatta entrare, riconosciuta, integrata.

Ci penso un po' su e mi ricordo di un antico detto di qualche saggio popolo indigeno, secondo cui quando viaggiamo la nostra anima viaggia con noi ma, a differenza del corpo che, una volta salito su un aereo può trasferirsi da una parte all'altra in meno di 24 ore, lei è più tradizionalista e, ovunque siamo diretti, arriva camminando.

Mi piace pensare che questa sensazione di irrealtà e inafferrabilità che vivo sia spiegabile così, col fatto che forse sto ancora aspettando di arrivare davvero.




P.S: quando arriverò vi farò un fischio, mi guarderò ben bene intorno e magari potrò raccontarvi qualcosa di più concreto!


lunedì 12 marzo 2012

Giordania: stereotipi utopici


Ormai sono trascorse più di due settimane dal nostro arrivo in Giordania...

... "mmm.. ma dove sono?" la camera bianca, un po' ospedaliera, è la prima cosa che riporta alla realtà: "buongiorno, sei ad Amman, te lo ricordi?" odiata sveglia che suona sempre puntuale alle 7 di mattina... è vero... siamo proprio ad Amman…  
Due settimane sono giusto il tempo necessario per capire che si sta vivendo una nuova realtà. 

Ma gli stereotipi di un paese immaginato a lungo sono già crollati tutti, o quasi. 

Primo: la Giordania è un paese arabo e nei paesi arabi guidano come pazzi. Rischieremo la vita ogni volta che prenderemo un taxi.
Non è così. Incredibilmente in Giordania gli stop,i sensi unici, i semafori vengono rispettati, la velocità, seppur non proprio moderata, non è da primato di formula uno e per ora non abbiamo neanche visto nessuno di quei fantastici taxi in cui si deve per forza salire in 7, autista compreso, e si finisce inevitabilmente spiaccicati contro il finestrino. L'attraversamento della strada è comunque uno sport ancora un po' rischioso, da praticare quando si sono sviluppate buone doti di agilità e velocità.

Secondo: La Giordania è un paese arabo e tutti cercheranno di attaccare bottone una volta capito che hanno di fronte degli stranieri.
Niente di più sbagliato. Qui a nessuno frega nulla che tu sia italiano, iracheno, cinese o della Groenlandia, a prescindere dalla tua nazionalità tutti si fanno i cavoli loro.


Terzo: La Giordania è il paese della Regina Rania, che è una banalità ma quando abbiamo comunicato  a parenti e amici che saremmo partiti per un anno per il servizio civile all'estero nel suddetto stato la maggior parte delle persone ci rispondeva: " oh che bello! Il paese della principessa!". Eh chi non la conosce d'altronde? E' bella, socialmente impegnata, emancipata, occidentalizzata... E forse è proprio quest'ultima caratteristica a causarle il maggior numero di problemi; Rania si veste all'occidentale, è vero, e questo a molti non sta molto bene, ma, nonostante ciò, molti giordani non hanno nulla da ridire sulla sua mise così poco tradizionale contestandole bensì il ruolo troppo influente che esercita a corte. Rania è una regina politicamente impegnata, la sua opinione è ascoltata ed influisce in modo decisivo sulle decisioni politiche del re e questo, ovviamente, piace poco a chi ha ancora una visione molto tradizionalista della donna. Quindi avrete già ben capito che nella sua terra non è così amata. 
Se poi ai motivi sopra elencati aggiungiamo che è di origine palestinese, la nazionalità dei numerosissimi rifugiati che si stono stabiliti in Giordania, indebolendone, secondo il parere di molti, la già fragile economia, che recentemente la sua famiglia è stata al centro di una serie di scandali riguardanti la corruzione e che lei stessa mostra vere e proprie tendenze allo sperpero degne della celebre Maria Antonietta organizzando per i suoi 40 anni sontuose feste nel deserto del Wadi Rum, possiamo capire quanto la sua popolarità sia limitata in patria.

Quarto: La Giordania è un paese arabo e quindi le città saranno molto caotiche, perennemente rumorose, il nostro viaggio sarà ovunque accompagnato da un vociare concitato, verremo bombardati da una cozzaglia di suoni, rumori e voci.
E invece indovina un po'? Silenzio... solo il rumore di un traffico ordinato ma comunque un po' congestionato. Ogni tanto passa il tamarro di turno con la nuova hit di ‘discotruzzeriaaraba’ a palla, ma è l'eccezione e non la regola. Il tono di voce che usano per strada è molto più sommesso del nostro siccome noi, come ogni italiano che si rispetti, ce ne andiamo in giro a parlare e a ridere ad alta voce sovrastando la quieta Giordana che più di paese arabo sa di nord europa.
                                                                                                                                                                                                       
Quinto: la Giordania è un paese arabo e quindi è un paese di emigrazione.
Mai idea fu più sbagliata. 
La Giordania è il paese che ha ospitato il maggior numero di Palestinesi, 1.700.000 dal 1948. Più recentemente ha ospitato molti iracheni un fuga dal conflitto del 2003 e proprio ora si sta attrezzando alla frontiera nord per ospitare i profughi siriani che già hanno cominciato ad abbandonare il loro paese.
Inoltre molte famiglie più o meno benestanti della capitale si avvalgono dell’aiuto di domestici stranieri, provenienti soprattutto da Filippine, Sri Lanka e Indonesia. In tutto i collaboratori domestici sono circa 70.000, 
non pochi se rapportati alla popolazione Giordana che raggiunge appena  i 6 milioni di individui.


Sesto: La Giordania è un paese caldo.
Che in linea di massima è vero… però a volte in inverno nevica anche ad Amman, la temperatura scende sotto lo zero e fa freddo, molto freddo. La maggior parte delle case sono costruite per rimanere fresche durante l’estate e quindi con la pioggia e la neve diventano umide e gelide e questo l’abbiamo proprio sperimentato sulla nostra pelle trascorrendo 4 giorni sepolti  sotto le coperte abbracciati a delle bottiglie piene di acqua quasi bollente nel tentativo, abbastanza vano, di scaldarci un po’.

Ma ora è tornato il sole e la primavera fa sbocciare i ciliegi per le strade di Amman, illuminando i mille volti di questa Giordania ancora tutta da scoprire e che non smette mai di sorprenderci.

La storia di Jacques...

Ciao a tutti!


Sono Jacques. Ho quattro anni e quello che leggete non l’ho scritto io, perché non so ancora scrivere.


Io sono il più piccolo dei miei fratelli e in tutto siamo 9. Abbiamo tutti la stessa mamma ma io ho un padre tutto mio. Alcuni dei miei fratelli hanno lo stesso padre, e si sentono più “fratelli” per questo. Io sono l’unico che non va ancora a scuola, ma la mamma alla mattina mi porta sempre alla prescolare di quei bianchi che danno la corrente elettrica a quasi tutto il quartiere, tranne che a noi perché non possiamo pagarli…



è bella la mia mamma, sapete? Non è tanto alta, mio fratello Peterson (che è il più grande e ha il papà a Santo Domingo) è più alto di lei di un bel po’. Ha dei bei capelli lunghi che lava ogni settimana e io le do una mano a pettinarli con le mie sorelle più grandi (non tutte perché Ketlyvive già con un altro signore e ha già un bambino che è tanto più piccolo di me).


La mia mamma è fortissima, quando mi accompagna a scuola porta sulla testa il banchetto con cui poi va al mercato a vendere tutte le sue cose, io lo vedo che fa fatica e ogni tanto le do una mano portando qualche sacchetto pieno zeppo di roba. Non vedo l’ora di essere grande così quel banchetto lo potrò portare io, e lei potrà riposarsi un po’…che la sento tutte le mattine che fa fatica ad alzarsi per il mal di schiena, e la pancia le sta diventando sempre più grossa. Ogni tanto io e le mie sorelle le diciamo di rimanere a letto ma lei si alza lo stesso e continua a portare quel coso pesante…per fortuna che ci siamo noi ad aiutarla!


Quando sarò grande voglio fare il lavoro del mio papà: voglio guidare le macchine dei bianchi, che poi mi danno i soldini e posso fare tutti i regali che voglio alla mia mamma, e anche alle mie sorelle, che giocano sempre con me.


Il mio papà lo vedo spesso che passa con la macchina dei bianchi e mi saluta, ogni tanto viene a trovarci e noi sappiamo che dobbiamo stare fuori a giocare così lui può stare con la mamma. Quando viene a trovarci mi porta sempre qualcosa di buono da mangiare, mi dice di non darlo ai miei fratelli, ma le mie sorelle ne prendono sempre un po’ anche se io mi arrabbio.


Mio fratello Ronald e mia sorella Sonya hanno il papà più ricco di tutti, lavora a Miami e non viene mai a trovarli, ma ogni tanto manda alla mamma un po’ di soldi, e noi siamo tutti contenti per qualche giorno.


Stamattina mentre facevamo la fila per prendere l’acqua mia sorella Sonya ci ha raccontato che fra qualche anno lei andrà dal suo papà per andare in scuole più belle…io spero proprio di no perché Sonya gioca sempre conme e non vorrei giocare da solo quando il suo papà la porterà via.


Mia sorella Marie-Rose invece mi racconta sempre storie di bianchi, vuole diventare bianca lei, e mi dice che è possibile…continua a comprare quei saponi arancioni che dice che la fanno diventare più bianca…per me puzzano e basta, ma ogni tanto glieli rubo e ci provo anch’io. Anche i miei compagni alla prescolare mi hanno detto che i bianchi hanno tante cose: hanno l’acqua che gli esce da un tubo in casa, hanno il cibo che gli esce da una scatola fredda, hanno più macchine che asini, dormono su dei letti tutti soli, hanno tanti giocattoli e tanti amici e hanno un papà a casa. Io credo proprio che se non riesco a fare il lavoro del mio papà voglio provare a diventare bianco anch’io. Eh sì, sarebbe bello!


Aspetta…ma tu che stai scrivendo tutte ste cose sei bianco, vero?

E anche tu che leggi, vero?


...mi fate diventare come voi?...

giovedì 8 marzo 2012

Sono una donna

Oggi è l'8 marzo, festa della donna.
Eccovi una bellissima poesia di un'autrice araba, Joumana Haddad, come gesto di solidarietà per tutte quelle donne, arabe e non solo, che lottano ogni giorno per i loro diritti, per la loro libertà, per essere ciò che vogliono essere, per scegliere semplicemente se stesse.

SONO UNA DONNA

Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e io avvengo.
Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della mia prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio
desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.







mercoledì 7 marzo 2012

Moja, mbili, tatu..


"Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo" (Proverbio cinese)


Ed ora eccomi qui, in quel di Nairobi, a muovere i primi passi su questa terra rossa che fa cambiare colore ai miei piedi a fine giornata.
Siamo solo all'inizio, allora iniziamo a contare...


"Moja, mbili, tatu, twavaa viatu
nne, tano, sita, hatutaki vista
saba, nane, tisa, twaondoka sasa
nane, tisa, kumi, twakanyaga kami."



martedì 6 marzo 2012

Radio Noroc


Qui Radio Noroc. Ciao mondo, è Chişinău che vi parla. Eccovi le ultime notizie.

Marco Povéro e Mariaclaudia Brunello sono stati i primi due volontari ambrosiani (ma c’è un infiltrato recchelino che si crede chissà chi solo perché a Recco c’è la focaccia al formaggio) a partire per la loro destinazione: venerdì 24 febbraio (in Moldova si festeggia Dragobete, una sorta di san Valentino “che ama in rumeno") alle ore 10.25 da Malpensa è partito l’aereo che li ha portati a Chişinău. I due serviziocivilisti sono stati accompagnati dalle due ex SCE, Elisa&Anne, una ligure e una lombarda: la tradizione prosegue e speriamo tutti che porti loro tanta fortuna (noroc)!



Chi ben comincia è a metà dell'opera



All’aeroporto moldavo i quattro sono stati accolti da Nadia. Chissà cosa frullava nella mente dei due nuovi arrivati? Bè, forse solo pensieri banali del tipo: non fa mica così freddo, chissà cosa me ne farò di tutti quei pile comprati? Ma non ci dovevano essere meno venti gradi? E poi: quanto fango! Impressionante vedere le strade e i marciapiedi e le macchine e le scarpe e insomma tutto infangato.
Nadia parla italiano: li aiuterà a capirsi all’inizio perché c’è chi è stato in Romania e già mastica un po’ di rumeno e chi invece si rende conto che lungo questo nuovo anno non imparerà solo il moldavo e il cirillico, ma anche tante parole genovesi che a quanto pare Anna ha già acquisito nel suo anno di permanenza a Chişinău con Elisa: e chi andava a pensare di dover venire in Moldova per capire finalmente Crêuza de mä!


 
Si entra subito nel vivo: Diaconia, l’associazione moldava partner di Caritas Ambrosiana. Sono tutti molto felici di rivedere A&E e di incontrare M&M. Il passaggio di testimone è veramente molto bello: ci si accorge che il benvenuto che riservano ai nuovi è dovuto in gran parte al buon segno che hanno lasciato i “vecchi”. Sembra di entrare in una grande famiglia: è un ufficio, sì, certo, ma se per esempio c’è un compleanno si blocca tutto e per due ore si fa festa. [per inciso è alla festa che si è sperimentata l’anguria in salamoia, ma c’era tanta altra roba: purè di patate, placinte di patate, patate colorate, il tutto innaffiato da del buon vino locale che Oleg provvedeva a versare non appena il bicchiere si svuotava: quando poi si sono messi a ridere e scherzare in moldavo la volontaria M1 ha patito un forte senso di abbiocco, ma si augura di riuscire presto a capire di più].

Di sera va in scena il gioco “acchiappa l’internazionale e non lasciartelo sfuggire”: al supermercato (finora non si sono avvistati negozi ma solo tantissimi centri commerciali più o meno grandi; anche il piccolo negozio di “alimentara” può offrire al volontario italiano alle prese con i corsi di rumeno dei graziosi quadernetti con Di Caprio e Johnny Depp piuttosto che marchingegni elettronici e di tutto un po’) scoviamo degli americani e fingendo noncuranza li pediniamo riuscendo a intavolare un discorso e scambiarci i contatti. Al supermercato succedono tante altre cose: si comprende come il cirillico sia indispensabile per capire cosa mangi, che non bisogna confondersi tra latte e chefir nonostante la confezione sia uguale, che esistono dolci e cioccolati di Post (la quaresima ortodossa durante la quale si diventa tutti vegani e non si mangiano cibi di derivazione animale).

Prima notte: nel buio si alza un’ombra per andare a sistemare lo sciacquone, torna a letto, dopo un po’ un’altra ombra tenta l’impresa ma si ritira sconfitta, subentra una terza ombra ma anch’essa deve cedere davanti all’onnipotenza del wc.. non è la sola cosa fuori posto in casa, sono tante piccole sciocchezze che Jacob, l’amministratore, prontamente sistemerà. Memorabile la scena di noi che lottiamo contro l’interruttore trovando meccanismi sempre più raffinati per accenderlo (calci e pugni) e Jacob con un solo gesto del dito: fiat lux! Veramente degne di menzione speciale sono poi le lenzuola bucoliche leopardate, in tipico stile moldavo.



pubblicata col consenso dell'interessato onde evitare querele


Per sabato Nadia ha organizzato un barbecue a casa sua per farci conoscere i volontari moldavi. Si cucinano i mic (in moldavo vuol dire “piccolo”, sono simili a salamelle) con patate ripiene di lardo speziato (altra specialità). Mentre Marco virilmente si procaccia del fuoco all’esterno, Mariaclaudia resta in casa a preparare imparando un sacco di parole tra il russo e il rumeno (qui si parlano ambedue le lingue, mescolando anche un po’). Prima full immersion nello spirito moldavo di accoglienza dell’ospite. Domenica sarà una non-stop di incontri: si esce di casa presto per andare ad Orhei la cittadina con l’appartamento sociale. Le ragazze ospiti hanno preparato il pane da cui si deve prendere un boccone e intingerlo nel sale, dopo di che c’è una scenetta umoristica “Moldova’s got talent” in cui anche chi non capisce la lingua comprende il senso e si diverte a vedere i balli, i canti e i travestimenti. Pranzo luculliano, poi in aeroporto per salutare Anne che ci lascia per tornare dai suoi ragazzi di Seregno. Noi proseguiamo gli incontri mangiando a ogni ora del giorno e della notte in ogni casa in cui entriamo: peperoni ripieni, clatite (crêpes), tartine, placinte (simili a fette di torta salata), sarmale (involtini di verza molto gustosi) e altro ancora



Scrivere sul foglio presenze “riposo” è stato davvero difficile: non vedevamo l’ora di iniziare il lavoro per riposarci davvero! Effettivamente lunedì è stata una giornata rilassante in cui Elisa ci ha un po’ introdotti nelle dinamiche dell’ufficio, dopo averci spianato la strada anche a livello di contatti esterni al lavoro (sabato sera grande festa internazionale a casa nostra durante la quale – ahimè -  sono stata ribattezzata Mary Christmas). Se ne parte anche Elisa: il servizio civile comincia davvero. Alla prossima puntata gli sviluppi della storia.
Good night and good luck! Noapte buna şi noroc!!


Ps mulţumesc a Elisa&Anna!!

I sordi ballano e bene!

...su un autobus appena uscito da un film americano anni '70, bagnato nella vernice gialla di un cristianesimo latino straripante di notizie di una prossimissima venuta di jesus e dei 10 comandamenti biblici si arriva a nueva vida...

la polvere e l'odore di plastica bruciata promettono tossi nuove....

e un passo dietro l'altro mentre si procede alla visita guidata di redes e del guis...ecco che uno sciame festoso ci avvoge...piovono abbracci, sguardi curiosi...e mezz'ora dopo siamo nel bel mezzo di una festa di benvenuto.

Sordi ballano, muti urlano e noi ci improvvisiamo maratonete di una corsa con dadi tra le gambe...

curiose di vederli?

questo è un video di un pò di tempo fa!

enjoy!

Obama, fra Iran e Israele


Roberto Fallini, 5 Marzo 2012

Un’imminente guerra in Medio Oriente è un timore fondato, purtroppo. Preoccupante è soprattutto il crescente sbandieramento di un attacco ai danni dell'Iran da parte di Israele, con gli Stati Uniti, in piena campagna elettorale, divisi fra interventisti e non. Il mondo non può permettersi un Iran dotato di ordigni nucleari è la sentenza di Barack Obama, che temporeggia, senza esporsi, da assoluto mediatore fra l’allineamento al terrorismo mediatico israeliano nei confronti di Teheran da parte degli esponenti politici più guerrafondai ed il più rispettabile approccio diplomatico. Non più tardi di due settimane fa, a conclusione dell’ennesima visita a Gerusalemme, Toni Donilon, il consigliere del Presidente sulla sicurezza nazionale, ha intimato ad Israele di non procedere con un attacco militare contro l’Iran. Lo Stato Ebraico non sembra però allentare la pressione. Proprio lunedì 5 marzo, in visita a Washington, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che Israele si riserva il pieno diritto di agire unilateralmente nei confronti di qualunque minaccia verso il proprio territorio (1).

Ulteriori sfumature, evidenti ad un'analisi più attenta, arricchiscono lo scenario.
Primo, il Presidente americano è storicamente molto sensibile alle pressioni del suo scomodo alleato mediorientale (Israele ndr), sia per questioni di equilibrio nella regione, sia per soddisfare le potenti lobby ebraiche che detengono un immenso controllo nel Congresso. Un Presidente alla ricerca del secondo mandato, difficilmente potrebbe avere successo senza il sostegno e le risorse economiche di importanti organizzazioni come l'AIPAC. Sconvolgente a proposito è quanto emerge dal volume pubblicato da John Mearsheimer e Stephen Walt, The Israeli Lobby and U.S. Foreign Policy (tradotto in italiano con il titolo La Lobby israeliana e la politica estera americana) (2). Da settimane, l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) sta facendo circolare volantini che descrivono come inaccettabile l’acquisizione da parte di Teheran della tecnologia nucleare(3).
Secondo, per anni la politica americana in Medio Oriente ha cercato di erodere il sostegno del regime iraniano lavorando sul fronte interno ed esterno. Dopo gli attacchi contro l'Afghanistan e l'Iraq, Iran e Siria sono rimasti gli unici paesi esplicitamente critici della politica americana. Un Iran nucleare muterebbe gli equilibri politici della regione, costringendo gli Stati Uniti ed i loro alleati a decisioni multilaterali e concordate, limitandone pertanto la libertà di azione.
Terzo, in termini economici, una guerra contro l'Iran viene percepita come un'immensa opportunità, da parte di diversi elementi del panorama politico ed economico americano. La caduta del regime degli Ayatollah permetterebbe infatti l'accesso alle risorse energetiche iraniane da parte di compagnie americane. L'esempio iracheno docet. Poco importano i morti e l'anarchia nella quale è sprofondato il paese dopo il 2003, l'economia statunitense ha tratto enormi profitti dall'invasione dell'Iraq in termini di risorse e contratti stipulati durante la fase ricostruzione. Una parziale analisi è fornita dall’inviato del Washington Post a Baghdad, Rajiv Chandrasekaran nella sua opera Green Zone.

Seppur come spesso accade non si esponga, Obama sembra tuttavia restio ad un attacco militare, forse memore dei disastri politico-umanitari commessi dalla precedente amministrazione durante le ultime guerre cominciate dagli Usa(4). Occorrerà attendere l’eventuale secondo mandato per una presa di posizione più decisa nei confronti dell’Iran. Nove mesi di arduo lavoro diplomatico quindi, nella speranza che, nel frattempo, le parti coinvolte non si abbandonino ad un’ennesima atrocità, aprendo un ulteriore conflitto nella regione.


(1)http://www.guardian.co.uk/world/2012/mar/04/barack-obama-israel-talk-war
http://www.nytimes.com/2012/03/06/world/middleeast/obama-cites-window-for-diplomacy-on-iran-bomb.html?_r=1&hp

(2) Un ulteriore, sebbene più conciso, riferimento si trova nell’articolo di MJ Rosemberg pubblicato al link http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2011/06/201164151342193909.html

(3)La notizia è stata riportata da alJazeera in un articolo pubblicato al link http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2012/03/201235162821946535.html

(4) http://www.iljournal.it/2011/la-lotta-al-terrorismo-in-cifre/231864

Limes, Rivista Italiana di Geopolitica. Numero 1/2012:
Washington deve colpire adesso o sarà tardi’, Matthew Kroenig
Iran, la soluzione è il contenimento, Roberto Toscano
Netanyahu sceglie le armi, Umberto De Giovannangeli

lunedì 5 marzo 2012

Brevemente Kindu


I bambini smettono di giocare al nostro arrivo in moto, sembra che tutti aspettino noi..ci accolgono con un canto, battiamo le mani anche noi, anche se capiamo solo una parola, karibu, benvenuti.

Io e Chiara facciamo due giochi con loro, senza capire le regole, scappando quando dovremmo inseguire, chiedendo in francese, sentedosi rispondere in swahili..e ovviamente ridendo sempre sotto il sole per noi cocente, per loro probabilmente normale.



Adesso invece il gioco per conoscersi: si lancia la palla e si grida il nome di…? Penso di avere la grande intuizione, il nome di quello che mi sta accanto: Maliki!! Ma uno dei quattro educatori mi corregge: “tu dois dire TON nom!!” -_- ottimo, magda, cominciamo bene!!

poi per fortuna ci siamo spostati all’ombra, sempre seguiti dai bambini che non smettevano di guardarci e sorriderci..pare di essere una grande novità e la mia novità invece sono tutti loro, questo caldo incredibile, questo sole a picco, la verdura che mangio e la casa in cui dormo, con Chiara ed Enrico. …ma voi le avevate mai viste due moto caricate su una piroga che attraversa un fiume?