martedì 31 luglio 2012

Lights will guide you home.


Eleonora

Rompiamo il ghiaccio!

 
(Libano, 3° giorno di cantiere)

Quest’oggi giornata di programmazione: il nostro gruppo di volontari si divide in due per preparare le attività da portare avanti nelle due settimane che passeremo al centro. Dopo un’intensa partita di calcio mattutina e qualche chiacchiera con le donne facciamo una full immersion in cui tiriamo fuori tutti i giochi già sperimentati in anni di GREST, tutte le nostre conoscenza pratiche da mettere a disposizione, e ne esce fuori un planning degno delle Olimpiadi! Qualcuno di noi si scontra con difficoltà pratiche durante il giorno: bisogna adattarsi allo stile di vita molto semplice del centro in fatto di cibo servizi igienici, sistemazione, ma niente di insormontabile! Più volte abbiamo occasione di stare con lo staff, tutto al femminile, responsabile del Rifugio, che ci dispensa consigli, ascolta le nostre difficoltà e con cui scambiamo battute e risate. Il clou della giornata arriva però la sera, quando, mentre sediamo a tavola, i bambini vengono a regalarci caramelle, disegni e lavoretti fatti a mano da loro, con sopra i nostri nomi. Scattiamo varie foto e poi ci mescoliamo alle donne, che ci cantano alcuni loro canti tradizionali e ci fanno ballare con loro, nell’incanto del cielo notturno libanese illuminato da tante stelle. Andiamo a dormire con la piacevole consapevolezza che ormai il ghiaccio è rotto e che le donne e i bambini sono aperti alla nostra presenza in mezzo a loro: un’ottima base per partire col nostro super-programma di attività!



Elisa

lunedì 30 luglio 2012

Bimbi all’assalto

(Libano, 2° giorno di cantiere)

Primo giorno “attivo” del gruppo libanese. Partiamo per una località a nord di Beirut dove presteremo servizio in un centro di accoglienza per donne e minori immigrati. Viaggiamo in un autobus un po’ sgangherato ma dove i passeggeri si alzano per cederci il posto a sedere e poi in un taxi dove come ieri, saliamo in sette e giochiamo a incastro tipo “tetris”. Al rifugio veniamo accolti dalle gentilissime ragazze che fanno parte dello staff. Dopo qualche ora di riposo incontriamo la responsabile del centro, che ci illustra le attività portate avanti da lei e le sue collaboratrici a favore delle donne migranti. Siamo colpite dalla sua forza e competenza e durante il pranzo la tempestiamo di domande sulle sue esperienze passate e presenti. Il pomeriggio facciamo una visita guidata del centro e vediamo per la prima volta le persone per le quali siamo venuti. Tanti visi sorridenti di donne e bambini che ci permettono di entrare nelle loro stanze e rispondono ai nostri saluti in inglese e francese. Dopodiché abbiamo l’opportunità di girare liberamente per il centro e provare a gettare le basi di un rapporto. Cominciamo coi ragazzini, le cui nazionalità sono le più disparate e la cui età vai dai sei ai sedici anni. Inizialmente dobbiamo sforzarci di infrangere una sottile corazza e farci un po’ di coraggio per andare da loro, dire i nostri nomi e spiegare perché siamo lì, scambiare due parole nonostante le difficoltà linguistiche (solo alcuni di loro riescono ad esprimersi bene in inglese). Ma i nostri sforzi vengono ripagati perché nel giro di poco tempo i bambini mettono da parte la timidezza e cominciano a prenderci d’assalto, quasi per costringerci a giocare con loro, rincorrerli, farci il solletico, permetterci di farli salire sulle nostre groppe, in grembo, in braccio, in testa e chi più ne ha più ne metta. Fra un assalto e l’altro parliamo anche con alcune donne, che si aprono spontaneamente a raccontarci le loro storie di vita, spesso dolorosissime. La giornata si conclude con una cena all’aperto: domani programmeremo le attività da fare con le donne e i bambini. Ciao piccoli assaltatori, ci vediamo domani!

Uno dei disegni regalati ai cantieristi

Elisa

“CAPA A CASA QUANTO VUOLE U PATRONE”

(La casa è grande quanto vuole il padrone, e noi ci aggiungeremmo che qua fanno di tutto per renderla il più grande e ospitale possibile)

La giornata di ieri aveva come tema i proverbi e dobbiamo dire che i palermitani non ci hanno lasciati a bocca asciutta. Armati di penna e quaderno abbiamo esplorato il grande mondo dei proverbi siculi, rimanendone affascinati. E, per assaporarlo completamente, ci siamo dati una cenetta in Piazza della Magione, tipico luogo da palermitani “sbrudriati”, con tanto di baracchini di stigghiola (meglio che voi non sappiate cosa siano!).


Ai prossimi aggiornamenti!:)

Natalia ed Elena

domenica 29 luglio 2012

Libano….arriviamo!

Elisa ha scritto un diario del suo cantiere libanese: un paragrafo al giorno. Lo postiamo con la stessa regolare "cadenza" con cui lei ha fermato le sue riflessioni. Un paragrafo al giorno per 16 giorni (alcune delle foto che accompagnano i post sono di Elisa Verrecchia, di Alberto Minoia, di Monica Ferrari e di Anna Martini).
 


(Libano, 1° giorno di cantiere)

Un gruppo di intrepidi italiani sbarca in Libano, con valigie e zaini pieni, tanto entusiasmo e un po’ di sonno in arretrato a causa della partenza molto mattutina. Una volta sbarcati a Beirut, veniamo subito investiti da una serie di sensazioni molto concrete: il caldo afoso che fa appiccicare i vestiti addosso, il forte odore di smog, la visita di edifici fatiscenti, alcuni dei quali recano ancora i segni delle pallottole. Sul veicolo che ci porta al nostro campo-base siamo ammassati e contorti in posizioni tipo “Tetris” per riuscire a starci tutti, ma visto che alcuni di noi sono tascabili, la cosa non crea troppi problemi. Il primo giorno è più che altro di conoscenza, fra di noi, della nostra coordinatrice, della realtà libanese. La sera abbiamo la fantastica opportunità di girare per Beirut, che osserviamo in tutti i suoi contrasti (edifici semi-distrutti attaccati a palazzoni e hotel ultra-moderni) e poi ci ritroviamo attorno al tavolo di un ristorante a bombardare il nostro palato di cibi speziatissimi e sapori a cui non siamo abituati, ma soprattutto a chiacchierare con la nostra guida per un giorno, che soddisfa tutte le nostre curiosità e domande sul Libano. Mentre ci racconta della guerra, della complicata situazione politica del suo paese, del quadro attuale libanese in fatto di religione, libertà, democrazia, ruolo della donna, ecc., rimaniamo incantati ad ascoltarla, ora sorpresi, ora shokkati, ora ammirati. Saranno tre settimane ricche di scoperte, di cose nuove da imparare, di emozioni e sensazioni. Libano: arriviamo!!!

Elisa

venerdì 27 luglio 2012

Pronti, partenza… VIA! (ma che puzza in questa “via”!)

Eccoci qua, alla fine del nostro terzo giorno a Palermo, questa città così vicina e allo stesso tempo così lontana da noi. Se non fosse per la lingua ci sembrerebbe di essere in un paese orientale, circondati da odori, voci, e sensazioni che ci ricordano davvero poco casa: la spazzatura in mezzo alla strada, i bambini che scorrazzano così liberi e abbandonati allo stesso tempo, il traffico caotico e tante volte sregolato. Insomma, un’Italia diversa ma affascinante.


I bambini per cui viviamo il nostro servizio rappresentano i colori di questa città, così vivaci e così bisognosi di un’amicizia educativa capace di guardare oltre il pregiudizio.

Nel frattempo offriamo aiuto anche alla Locanda dove prepariamo pasti per chi, italiano o non, vive momenti di difficoltà e di crisi.

Valeva la pena affrontare questo viaggio, per conoscere questo angolo speciale del mondo e soprattutto per appassionarci ancor di più a chi ci fa sentire la bellezza di essere dono.

A CHI HA MOLTO RICEVUTO, MOLTO SARÀ CHIESTO.

12 cuori in uno scatolo.

sabato 21 luglio 2012

Drum bun, buon viaggio!


Glod, fango, è la prima parola che mi hanno insegnato le ragazze. È una parola molto utile in Moldova dove, se appena pioviggina, le strade (strade non sempre asfaltate, ma sempre piene di buche) si trasformano in costellazioni di pozzanghere fangose.

Non l’ho ancora imparata e infatti ci finisco dentro, nonostante mi avvertano. Troppo buio ad Orhei la notte: neanche un lampione e questa sera neanche tantissime stelle. Quello che vedo è una stanza piena di tappeti sul pavimento e sulle pareti. Servono a riscaldare i gelidi inverni (si arriva anche a meno venti gradi): non c’è il calorifero, solo un camino e dei materassi elettrici. È la nuova stanza di Anusca e di Anea.

Sono molto emozionata: ho visto Anusca prepararsi per il suo primo giorno di lavoro. Ha 15 anni e ha studiato cucina. È andata via alle cinque del pomeriggio raggiante in volto ed è tornata la mattina alle 7 stravolta. Ora ha trovato, insieme ad Anea, la sua prima casa indipendente. È solo una stanzetta minuscola e tutta piena di cianfrusaglie non loro. Ad Anea non piace: non ha tutti i torti. Anusca responsabilmente confida nel fatto che, abituate già all’appartamento, faranno pulizia e sistemeranno la stanzetta rendendola più loro. È contenta che ci siano delle piantine alla finestra di cui prendersi cura. Chiede di vedere il bagno e la cucina, se ci sono stoviglie per loro che non hanno niente. Tutti i loro averi li abbiamo appena portati qui in qualche sacchetto della spesa.



Il giorno dopo c’è il momento conclusivo dell’appartamento sociale: ora inizia per tutte loro la vita fuori, sono ormai indipendenti. Anche Iulia, la più dura e sicura di sé, non riesce a finire le frasi per la commozione. Quali sono i momenti più belli di quest’anno? Tanti, troppi, non riesce ad elencarli tutti, piange. Nonostante i problemi di questa generazione, forse più difficile di altre, le ragazze hanno capito di essere volute bene, di avere avuto un’occasione preziosa, di avere imparato tanto. C’è qualcuno su cui poter contare; adesso, però, tocca a loro muovere i primi passi.

Le strade moldave sono molto diverse da quelle a cui sono abituata, piene di fango e di buche; forse è per questo che si augura di frequente (mi sembra più che in Italia) di fare un “buon viaggio”, “drum bun”: è un’espressione che mi piace molto, sia per l’assonanza che per il significato. Drum bun; brum, brum; boom! Sembra un gioco di parole, ma può voler dire tanto: la vita è un cammino con alcune tappe significative; l’anno all’appartamento è sicuramente una di queste che segna una svolta per le ragazze che vengono ospitate, come pure per chi come me ha la fortuna di lavorarci per un anno.

Il 9 luglio è iniziata la sesta generazione: drum bun, fetele! Buon viaggio, ragazze!

mercoledì 18 luglio 2012

Mare nostrum e degli altri

Libia, libiae, libiae, libiarum…
Quante declinazioni… Forse tante quante le etnie, tribù, clan libici: da sempre la Libia occorre declinarla in modo ampio!

I risultati definitivi delle prime libere elezioni post Gheddafi arrivano prima dell'inizio del Ramadan e sono molto chiari. Già si sapeva che l’Alleanza delle forze nazionali dell'ex premier del Cnt, Mahmud Jibril, è il primo partito in due importanti circoscrizioni dell'ovest. Jibril a Janzour, nella periferia di Tripoli, ha incassato 26.798 preferenze contro le 2.423 del Partito Giustizia e Costruzione (Pgc), braccio politico dei Fratelli Musulmani. Risultati senza appello anche a Zlitan, vicino a Misurata: con 19.273 voti l'Alleanza sfonda, mentre i Fratelli Musulmani si fermano a poco più di 5.626 preferenze. Stamattina è stata proclamata la vittoria con largo margine sulla compagine “islamista”, anche se poi il governo per dare stabilità alla “governance” del Paese non potrà fare a meno del supporto dei Fratelli Musulmani.

L’esultanza generalizzata al di qua della sponda del Mediterraneo per il successo in Libia dei “liberali”, fa capire di che sponda siamo fatti… Siamo quella buona e democratica! Di seguito il mantra comunicativo sul voto degli esperti valutatori europei che hanno seguito lo svolgimento delle elezioni in Libia dichiara:

"Le elezioni in Libia sono state pluraliste, gestite in maniera efficiente e nel complesso pacifiche", ed hanno gettato “le fondamenta per lo sviluppo democratico futuro".

I media nostrum e quelli europei son tutti d’accordo: ha vinto il popolo, la democrazia...! Pace se c’è stato qualche incidente, qualche tentativo di boicottare le urne, come dire… i soliti “teppistelli cirenaici”. Certo un 36% degli aventi diritto non ha votato, ma in fondo da noi va peggio!

Possiamo forse dormir sonni tranquilli; i contratti petroliferi sono al sicuro, ma di questo non avevamo dubbi. In fondo se, come disse Enrico IV verso la fine del ‘500, “Parigi val bene una Messa”, figuriamoci: il petrolio libico val bene tante “com- messe”…

Speriamo che la cosiddetta Comunità Internazionale sappia favorire la svolta democratica e liberale nel Paese… Non tanto per questioni energetiche, quanto per la libertà e la difesa dei diritti di tutti. Sarà interessante anche capire in che direzione si muoverà il futuro esecutivo libico, nei confronti delle diverse esigenze regionali e come affronterà a livello interno ed internazionale la questione migratoria, visto che finora la gestione era sicuramente “criminale”.


Fratelli d’Egitto
Continuando a Est in Egitto dopo alcuni giorni di polemiche, scontri e accuse reciproche, finalmente sono arrivati i dati ufficiali del secondo e definitivo turno delle elezioni presidenziali: Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani è il nuovo presidente. Ha ottenuto il 51.7% dei voti contro il 48.3% dell’avversario Ahmed Shafik (ultimo premier del regime di Mubarak).

Certo, un po’ di preoccupazione c’è: appena dopo l’elezione del Presidente, la Corte Suprema dà ragione allo SCAF (Supreme Council of the Armed Forces), dichiarando un terzo del parlamento incostituzionale e decretando quindi il suo scioglimento. Allora il Presidente non curante, convoca il Parlamento martedì 10 luglio annullando con un decreto lo scioglimento e ricorrendo in appello… Chi ha torto, chi ha ragione, ma soprattutto chi comanda e chi deve ubbidire?

Per concludere aspettiamo con trepidazione la “faraonica” Corte di Cassazione che dovrà sbrogliare la complicata matassa dei molteplici ricorsi che riguardano: lo scioglimento dell'Assemblea del popolo, quelli contro il decreto presidenziale e da ultimo quello riguardante lo scioglimento dell'assemblea Costituente.

Come si dice in gergo giuridico: "Un gioco da ragazzi cara la mia cassazione d’Egitto".

Nel frattempo per mantenere la calma i Fratelli Musulmani chiamano un milione di “parenti” in piazza Tahrir. Per contro sembra che i militari abbiano dichiarato, facendo il verso ad una vecchia canzone di Jannacci*: “(...) per vedere di nascosto l’effetto che fa! Vengo anch’io…” a Tahrir. Siamo certi che la piazza in modo responsabile e pragmatico risponderà per le rime: “No tu no!”. In fondo anche loro, i Fratelli, conoscono il nostro Enzo!


Siria Bocca di Rosa e l’antico lavoro
Proprio così: il Poeta ci ricorda che, con passione e amore, Bocca di Rosa viveva in quel Paese e la sua storia passata e recente ha riguardato diversi “clienti generosi” che l’hanno amata; alcuni ancora oggi flirtano con Lei, mentre altri, beccati in flagrante, hanno mollato sconsolati… “Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie senza indagare se il concupito ha il cuore libero oppure ha moglie”; ahimè per Bocca di Rosa, le mogli cornute non son poche e si sa che la gente anche a livello mondiale dà buoni consigli se non può più dare cattivi esempi. La Vecchia Comunità Internazionale sembra non essere mai stata moglie, non ha più entusiasmo e sembra voler prendersi la briga e forse anche il gusto di dare a tutti i Paesi clienti il consiglio giusto.

Garantendo così alle “cornute” che il furto d’amore sarà punito. Siamo a questo punto, che alcuni sono andati dal commissario dicendo in modo poco fine che quella “schifosa” ha già troppi clienti, più di un consorzio alimentare.

Ora nell’ironia consapevole forse dovremo aspettarci 4 o 5 gendarmi con pennacchi blu o di altro colore e con le armi che accompagnino Bocca di Rosa alla sua ultima stazione, e siamo sicuri che alla stazione ci saremo tutti per vederla partire.

E forse solo allora comparirà un cartello giallo con una scritta nera che ci ricorderà: “Addio Bocca di Rosa con te se ne parte la primavera”. Araba.



Alberto

* Foto tratta da http://tornoaivinili.blogspot.it/2010/11/luomo-meta.html#!/2010/11/luomo-meta.html

lunedì 16 luglio 2012

UN POST PIU' UMANO




Eccoci, un’altra mattina alla stazione degli autobus, fermi sotto un sole già rovente. Quanto aspetteremo oggi? Difficile fare previsioni … A volte bisogna lottare per accaparrarsi un posto, altre volte bisogna aspettare un tempo interminabile prima che il mezzo sia al completo di passeggeri e quindi pronto a partire. Non sappiamo mai a che ora saremo sul posto di lavoro: a volte arriviamo in anticipo, quasi mai in orario, spesso e volentieri in ritardo. Ma alla fine qua a nessuno sembra importare, la filosofia di vita è molto diversa dalla nostra, qui inshallah (se Dio vuole)  non è un’espressione, è uno stile di vita. Ci lasciamo alle  spalle Amman, attraversiamo Zarqa e presto il bus comincia a sfrecciare nel deserto. Un deserto di colline sassose e pietraie, un deserto che è solo un illusione, un intervallo di natura immota e potente che incontriamo quasi per sbaglio e presto abbandoniamo. Eccoci di nuovo in periferia. Il vecchino seduto dietro di me mi tocca col bastone, proprio come quando ci si vuole accertare che qualcuno sia ancora vivo, e io, che come al solito mi sono addormentata negli ultimi cinque minuti di viaggio, apro gli occhi:
È ora di  scendere.
Mi guardo intorno, respiro: aria secca, polverosa e calda. Sono arrivata a Mafraq.

Da sempre città di confine, città nel deserto, da qualche mese  città di rifugiati, di povertà, di dignitosa e composta disperazione.






 Eppure in apparenza tutto è così normale. I mendicanti ai lati delle strade sono di più, molti di più, sono donne anziane, bambini, anche uomini di tanto in tanto, parlano con un accento diverso, ma la gente non pare scomporsi; tutto pare abituale, scontato, ordinario. È strano trovarsi sul teatro di una tragedia e vedere come la vita continui a scorrere impassibile, imperturbabile. Con ordine la società civile giordana si è apprestata a soccorrere gli sventurati vicini, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse scontato che dopo ai Palestinesi e agli Iracheni in qualche modo anche ai Siriani toccasse il proprio turno. I mass media non gridano all’invasione come fa la stampa nazionale nostrana ad ogni singolo sbarco di immigrati, sono al contrario solidali, parlano di aiuti e di progetti di accoglienza, di ospedali da campo, di realtà locali impegnate nell’emergenza e delle ONG straniere che le supportano. C’è preoccupazione e c’è tensione, è normale, la Giordania non è un paese ricco e ha già seri problematiche sociali con cui deve fare i conti, ma le persone accolgono prontamente, senza sospetti e con generosità.
 È vero, Il governo non ha una posizione chiara e cerca di non sbilanciarsi e questo, sicuramente, va in parte a discapito delle condizioni di vita dei Siriani in suolo Giordano, ma la popolazione civile, anche se stanca e preoccupata, accoglie e aiuta. I movimenti informali nati dal basso, dalla gente comune, sono molti: ci sono  iniziative culturali, spettacoli di vario tipo, concerti di gruppi ska e rock, una rarità nel panorama musicale mediorientale,  il tutto per raccogliere fondi per chi è scappato, per tutti coloro, e sono tanti, che ogni giorno varcano la frontiera. È vero, tante persone vivono “l’emergenza” come una realtà distante e lontana, la stragrande maggioranza della popolazione infatti vive alla giornata arrabattandosi e ingegnandosi in mille modi per arrivare a sera,  ma, nonostante ciò, il tessuto sociale Giordano è vivo, si attiva, risponde e crea reti di solidarietà accantonando la stanchezza e l’amarezza che contraddistinguono quest’ennesima tragedia mediorientale.

Al contrario di ciò che avviene in Italia, qui i mass media non utilizzano meschini sotterfugi linguistici per diffondere incertezze e paure, per creare sindromi da Cassandra alimentando quella che è stata più volte magistralmente definita una “tautologia della paura”. Da noi gli immigrati sono clandestini, irregolari, delinquenti, invasori, sono portatori di una cultura troppo diversa e quindi pericolosa, sono quelli che ci rubano il lavoro e che creano insicurezza sociale, sono chiusi, arretrati, sono individui pericolosi per la società, sono, in sostanza, capri espiatori che portano lo stigma di colpe non loro.

Qui i Siriani sono “ fratelli per cui si deve pregare” , forse sono visti come vittime ma questo punto di vista non è accompagnato dal paternalismo che invece è proprio dei discorsi pubblici italiani e, più in genere, europei. Quello che ho notato qui in Giordania è che quando si parla di Siriani si parla di PERSONE, uomini, donne, bambini che continuano a possedere una loro dignità.

E dal cuore del mondo musulmano, quel mondo che tanto spaventa noi occidentali poiché spesso considerato arretrato e violento, giunge una lezione di dignità, umanità e fratellanza: sulle coste italiane sbarcano clandestini, qui si accolgono persone.

Distribuzione di beni di prima necessità a Zarqa


Il tassista che mi riaccompagna a casa accende la radio, ascolta le notizie poi alza le spalle e dice: “ altre bombe, hai sentito? Prega, prega anche tu. Allah deve aiutare i nostri fratelli Siriani”.


Hot hit summer 2012

se prima eravamo in 2 a ballare l''Hully Gully....



Oggi Mariarosa è arrivata a Chisinau!

Cari lettori del blog, in anteprima mondiale vi presentiamo il nuovo trio italo-moldavo: siamo in attesa di conoscere il nome del neonato gruppo che nei prossimi mesi non mancherà di regalarci bei momenti..si accettano suggerimenti!

giovedì 12 luglio 2012

Formazione col morto

E va bene...anche questa volta ho mentito un po' nel titolo, vorrà dire che la prossima volta metterò direttamente "Belen nuda" per far diventare popolare il mio post. Che poi diciamolo, ho esagerato però proprio mentito no. Siamo appena tornati da 3 giorni di formazione con i volontari moldavi per i Cantieri della solidarietà che certamente hanno avuto le loro particolarità. Quest'anno la formazione si è svolta a Coscalia (di cui più o meno chiunque ha sentito parlare), ridente località moldava che però ha tirato fuori il suo lato più triste (e talvolta macabro) apposta per noi. In 3 giorni abbiamo assistito (praticamente partecipato facendo formazione dietro la chiesa) a due funerali, per non dire di quando tutti seduti in cerchio per un'attività ci siamo ritrovati i becchini del villaggio al nostro fianco a preparare  la bare per il giorno dopo finendo per lasciarne in mezzo a noi una aperta, così come un invito. Ancora all'uscita dalla chiesa una signora incinta (che quindi vale doppio) è svenuta così di colpo davanti a noi, io come sapete sono un "EROE", quindi ho fatto di tutto per salvarla, ma il fatto che si sia ripresa quando le abbiamo detto che saremo partiti il giorno stesso mi ha portato ad interrogarmi sul nostro ruolo di portasfiga.
Prima di tirarci addosso una brutta fama dico solo che spero che il paese riesca ad invertire questo trend perché se adesso sono 2200 e ogni 3 giorni ne muoiono 2...fate voi i conti.


Beh insomma, a parte tutto questo la formazione è andata alla grande. Sono stati 3 giorni molto intensi ma che di sicuro hanno lasciato tanto a me e Mary come anche ai ragazzi. Loro hanno avuto la possibilità di partecipare ad una bellissima formazione preparata da Nadea con il nostro contributo e noi abbiamo avuto la possibilità di conoscerli, di capirli e di entrare in uno spirito che sarà quello dei cantieri. Più o meno bravi tutti questi volontari hanno deciso di impegnare il loro tempo e le loro energie  per i lori piccoli villaggi e questo è già una grande cosa. In un paese come questo dove a chiunque vengono tarpate le ali il solo provarci fa tanto, io mi posso lamentare di tante cose, ma di certo per me è più facile.



Un'ultima cosa che veramente mi ha colpito ma in negativo. Dopo mesi di lavoro qui per Caritas pensavo di avere capito il loro modo di lavorare: non solo portare un aiuto ma dare la possibilità di lavorare insieme alle persone del luogo per uno sviluppo duraturo e reale del paese in cui si interviene. Dopo Coscalia devo dire di essere molto indignato da questo punto di vista e con una foto voglio spiegarvi perché:


Un calcetto montato in questo modo distrugge anni di intervento, simbolo della tipica mentalità del "vi diamo il calcetto ma non le istruzioni per montarlo" o ancora peggio di una mentalità "catenacciara". I danni che può fare un oggetto di questo tipo utilizzato in questo modo ancora non sono stati calcolati e io spero che, con queste mie umili parole qui, possa un giorno cambiare questa situazione (per i profani del calcetto sto dicendo che tutte le stecche sono mischiate).


Ion Sărac

P.S. Cantieri arriviamo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

sabato 7 luglio 2012

Peke yangu ku Kindu ..o anche.. "seule comme une sorcière"


Finita la formazione in Italia, le due viaggiatrici ripartono alla volta del Congo.

Ancora prima di arrivare, l’influenza congolese si fa sentire: scendete a Entebbe(Uganda), invece che a Kigali(Rwanda). Per fortuna ve ne accorgete dopo pochi minuti e rimontate di corsa sull’aereo, con un po’ di strizza e, una volta sicure di ripartire, tante risate.

Enrico e Jules, a sorpresa, vi sono venuti a prendere e vi portano fino a Goma. Per te la partenza è prevista per due giorni dopo, mentre Chiara si ferma a Goma una decina di giorni per una formazione sul microcredito. Ma chi ti deve prenotare l’aereo sbaglia e prenota un posto sul volo Kindu-Goma, mentre tu dovresti fare il percorso inverso.

In una settimana di permanenza, Goma ti svela la coesistenza di realtà supervariegate, dai numerosissimi bambini di strada a ristoranti/hotel da sogno, con praticello perfettamente curato, tavolini in riva al lago e sculture con vecchi pezzi di auto; dai trasportatori di verdure e legname su CHUGUDU (enormi bici di legno a spinta, senza pedali) a campi sportivi per giovani, fatti a regola d’arte.

A Goma incontri fantastici volontari del VIS, che vivono insieme in una bella casa di legno, dove non puoi non rilassarti, ascoltare e raccontare vissuti, tanto diversi quanto comuni. I racconti di Kindu affascinano tutti e i 4 del VIS si ripromettono di effettuare una missione esplorativa durante uno dei prossimi mesi: sarebbe bellissimo poterli accogliere!

Questi 4 volontari, tutti italiani, lavorano nel centro Don Bosco Ngangi, dove, oltre a bambini orfani e malnutriti, sono ospitati i ragazzi evacuati dal CTT(Centro di Trattamento del Trauma) di Rutshuru, dove sei stata in aprile. Scopri che molti di quelli che conosci sono stati riunificati alle famiglie, ma chi è rimasto ti saluta ancora con entusiasmo.

Il mal di pancia non ti da’ tregua: all’ospedale scopri che hai l’ameba, un brutto mostro che ti si piazza nell’intestino e causa crampi forti e prolungati.

Arriva il giorno del ritorno a Kindu: ritardo di 3 ore per il maltempo, scalo a Punia, bellissimo villaggio sperduto nella foresta; le capanne, i cani e i bambini distano massimo 15 metri da dove l’aereo scarica chi resta e carica chi deve ripartire.

A Kindu, la tua casina è abitata ora da ragni e polvere, dopo un mese di abbandono. L’équipe ti viene a salutare, ti aggiorna sul programma e via! L’indomani cominciano les colonies coi ragazzi, primo sito è Tchombi, riva destra del fiume, a 16 km, nelle scuole elementari. Due giornate piene, che ti sfiniscono per il caldo e i giochi scatenati. Ti stupisce ancora la forza inesauribile dei bambini. Al ritorno, la pioggia coglie tutti i membri dell’équipe in moto, cadete nel fango e aspettate che spiova in una capanna dove un papà cucina e racconta della moglie malata.

Il 30 è festa nazionale, l’indipendenza del paese…ma nessuno festeggia, perché l’est del paese è in guerra. A demotivare anche a una semplice uscita è una pioggia fitta, che dura fino a sera, nonostante dovrebbe essere cominciata la stagione secca.

A un pranzo coi colleghi ti ricordi di come hai ritrovato una famiglia, di come ogni tua gioia sia anche loro e di come sia bello trovare riunite nella stessa persona tanta purezza e gratitudine.

Al mercato la donna che vi vende i “petit pois” decide che chiamerà “Magda” la bambina che le nascerà fra pochi mesi.


L’autista di Chiara, Bandal, ti viene a trovare e ti chiede se sei sola, “seule comme une sorcière!”

Una chiacchierata con un beninois ti fa scoprire come si possa rimanere affascinati dal Congo, che “è una nazione ma vario come un continente”, e come possa essere più strano e insolito avere un fratello e una sorella di 7 e 8 anni più grandi, rispetto ad avere 22 fratelli, nati dallo stesso padre ma da 5 mamme diverse.

Scopri che Chiara, fidata compagna di servizio civile, viaggio e avventure, invece che arrivare l’indomani, per problemi all’aereo, partirà da Goma al più presto fra altri 6 giorni.

…Kindu riserva così tante sorprese, che vorresti avere più occhi mani orecchie per poter meglio narrare le immagini gli incontri le storie.

domenica 1 luglio 2012

!!!!!!!!!! ludopedagogicaMente !!!!!!!!!! tra il nicaragua e l'italia

"Jugar es un estado alterado de conciencia.
Jugar es un rayo de luz; una sombra de intriga;
un almanaque envejecido cuyos días coinciden
exactamente con estas fechas de mi vida.
Jugar es mirarme otra vez, de vuelta,
una vez más, repetidamente.
Y talvez encontrarme en mí
y quizás encontrarme en él
y encontrar alguien más, dentro mío.
Juego en busca de la identidad perdida."

Giocare è uno stato di alterazione della coscienza.
Giocare è un raggio di luce; un'ombra che intriga;
un almanacco invecchiato in cui i giorni coincidono
esttamente con queste date della mia vita.
Giocare è guardarmi di nuovo, di ritorno,
ancora una volta, ripetutamente.
E forse trovarmi
e magari trovarmici dentro
e trovare qualcunaltro dentro al mio.
gioco cercando l'identità persa.



Qui si continua con la formazione oltre che col servizio!
e che formazione!!
ludopedagogia...cos'è?
più o meno questo!!!

e dopo l'intensivo di ieri avevo una gran voglia di far girare le informazioni, dato che questo fantastico corso ha un suo corrispettivo estivo in Italia .
e allora qui un paio di link:

 il nostro corso a managua

le origini della ludopedagogia



affrettatevi le iscrizioni stanno per chiudere!!!