Haiti, settembre 2012
Sono le 9 di mattina: dopo un paio d’ore d’auto e una
buona colazione offerta dalla moglie di un collega (banana bollita con pesce),
scendiamo dalla macchina e iniziamo a salire a piedi verso la parrocchia che
dobbiamo visitare, perché da lì in poi la macchina non ci passa più.
Parto molto spavalda cercando di tenere testa ai miei
colleghi, ma già dopo un quarto d’ora faccio fatica a stargli dietro. La strada
è tutta in salita e sotto al sole, ci sono ogni tanto degli alberi, ma gli
oltre 50 gradi del sole haitiano mi stordiscono. Inizio a rallentare e sento la
testa pulsare, ogni tanto mi fermo all’ombra di un albero a bere, ma mi scoccia
farli aspettare e proseguo subito.
Meaurin bello baldanzoso cammina tranquillo e
chiacchiera ridendo con Fritz, lui è nato qua e questa strada l’ha già fatta un
sacco di volte. Fritz è un po’ più alto e robusto di Meaurin, ed è di città,
rallenta anche lui e inizia a grondare sudore, si vede che fa fatica, anche se
riesce comunque a continuare a chiacchierare. Io sono letteralmente in un bagno
di sudore, la mia maglietta gronda e mi scivolano gli occhiali per le
goccioline che dalla fronte scendono fino alla punta del naso, i miei piedi
fanno fatica ad alzarsi e mi costringo a fermarmi perché mi sento svenire. La
gente che incontriamo ci saluta ed è uno sforzo anche solo rispondere con un
“Bonjou”. Mentre sono ferma a bere vedo le donne che scendono con dei catini
pieni di roba in testa, sudate anche loro ma belle in forma continuano la
discesa. Mi affianca una vecchiettina che sta salendo con il suo bel carico in
testa, mi guarda un po’, mi fa un sorriso e mi dice “Kenbé fò” che vuole dire
“tieni duro” o “tieniti bene”, qualsiasi delle due intendesse mi fa molto
piacere, le sorrido anch’io e lei mi supera sgambettando molto più veloce di me
…”ma come fa?!”. Mi faccio forza e mi dico: “devi dimostrare ai tuoi colleghi
quanto ci tieni a questo progetto, è stata una tua idea venire qua per
stimolarli a darsi da fare e se ce la fa la vecchiettina ce la devi fare anche
tu! Devi dimostrare a tutti quelli in ufficio che non volevano venire qua che è
una questione di responsabilità, non di fatica”. Quindi, seppur con molta difficoltà,
continuo a infilare un passo dietro l’altro. E mentre inizio a sentirmi
un’eroina perché sto continuando a salire, continuano a superarmi donnine
incinte o vecchiettine che sgambettano tranquille … riprendo a sentirmi molto
più stupida che eroica.
Dopo già un paio di momenti in cui mi sono dovuta
fermare per non svenire e circa un’oretta di strada, Meaurin ci ferma per farci
vedere sull’altra montagna una chiesetta bianca e ci dice tutto allegro:
“ecco, è lì che dobbiamo arrivare!” Mi
sento mancare, è lontanissima! Fritz ha la mia stessa espressione sbigottita e
quasi all’unisono gli chiediamo “ma si deve salire ancora tanto?”, Meaurin
tutto tranquillo ci dice “no no, arriviamo a quell’altezza e poi è tutto in
piano”. Mah … continuiamo a camminare …
Dopo un’altra oretta di salita arriviamo sulla stradina
in piano che unisce le due montagne. A questo punto ricomincio a pensare
lucidamente e inizio a guardarmi intorno. È uno spettacolo mozzafiato! Da qua
si vede il mare, si vede la città sotto di noi e la Tortuga di fronte, rimango
incantata dalla bellezza del paesaggio Haitiano. Riesco persino ad osservare le
persone che incontriamo, le case e gli animali. Ci sono molte persone che
vivono quassù, quasi tutte che portano qualcosa avanti e indietro, mi ricordo
che per strada abbiamo incontrato anche un paio di buoi trainati che si
arrampicavano su quella stradina trasportando qualcosa anche loro. La maggior
parte delle case ha le pareti composte da legni intrecciati, alcuni lasciati
allo scoperto e altri stuccati che quasi non si riconosce che c’è del legno
sotto. Alcune case, poche, sono fatte in mattoni e cemento, e rimango stupita
chiedendomi come han fatto a trasportare il cemento su questa strada. L’aria è
più fresca e qualche nuvola clemente sta coprendo il sole.
Ancora una lieve salita e ci si staglia davanti una
chiesa enorme. Entriamo nella casa parrocchiale e incontriamo il parroco che ha
buone notizie per noi: siete arrivati troppo presto, pensavamo che la bianca ci
avrebbe messo di più a salire e quindi abbiamo fissato l’incontro alle 12:00,
anche se bisogna considerare che qua noi (come in molti altri villaggi) non
abbiamo cambiato l’ora quindi per voi dovrebbe essere intorno alle 13. Ottimo,
e che ore sono adesso? Le 11 e un quarto. Fantastico.
Père Pheshner ci spiega che quella parrocchia è in una
posizione centrale rispetto ad altri piccoli villaggetti su tutta la montagna,
lui per raggiungere le due chapelles (le divisioni della parrocchia) ci mette
lo stesso tempo che ci abbiamo messo noi a salire. Decide di offrirci un caffè
con del pane e un po’ di avocadi, mai frutto è stato più dolce al mio gusto!
Sono proprio contenta di essere qua e inizio a chiacchierare con Meaurin. Lui
ha vissuto qua finché non ha dovuto fare le superiori, alché si è trasferito
con la famiglia a Port-de-Paix dove vive adesso. Racconta che tutta la gente di
questi villaggi vive di agricoltura, che c’è un piccolo mercatino qua ma che la
maggior parte fa avanti e indietro per andare a vendere nella città ai piedi
della montagna. Gli chiedo come mai non ho visto asini in giro e mi spiega che
gli asini non riescono a salire quella strada, e che la maggior parte muore …
quindi la gente preferisce usare i buoi.
Mi propone di fare un giro del paese intanto che
aspettiamo, accetto volentieri. Ormai sono tutta infreddolita da quanto ero
bagnata di sudore, e stare un po’ al sole mi asciugherà. Superata la Chiesa (‘Ma
come avranno fatto a trasportare tutto sto materiale su quel sentierino?’) troviamo
il salone parrocchiale (‘Il parroco deve avere tanti bravi fedeli disposti a
lavorare per essere riuscito a far trasportare tutte queste cose!’) e
proseguiamo per la stradina.
Mentre passeggiamo si sentono delle grida, vediamo
comparire una donna che urla piangendo e sembra che faccia fatica a reggersi in
piedi. Tutti la guardano e nessuno dice o fa niente, Fritz mi sussurra che deve
essere morto qualcuno, perché quando c’è un morto ci sono anche le grida.
Subito dopo compare un’altra donna che urla e si tira i vestiti in
un’ostentazione di disperazione, dietro di lei compaiono due uomini che reggono
una bara sulla testa cantando e danzando. Dietro la bara arriva un corteo di
donne di cui alcune cantano e ballano mentre altre ripetono le scene delle
prime due donne comparse sorreggendosi a vicenda … mi tornano alla mente le
parole di un anziano frate: qua bisogna ostentare la disperazione per il morto
perché altrimenti il suo spirito potrebbe tornare a tormentarti … mi sembra
quasi di essere in un film. Tutti quanti le guardano passare, si chiedono a
vicenda chi sia morto e continuano quel che stavano facendo prima che arrivasse
la prima donna urlante, come se nulla fosse successo.
Mentre attraversiamo il piccolo mercato del villaggio
(8 gruppetti di signore che vendono frutta e poco più appoggiate su dei teli
per terra) sento una signora che mi ha appena detto “Good morning” spiegare
alle sue vicine: “Good morning in inglese vuol dire dammi i soldi!”, mi giro e
le dico: “No madam, good morning se pa bay mwen lajan, se selman bonjou” (No
signora, non vuol dire dammi i soldi ma solo buongiorno!) … scoppiano tutti a
ridere e la signora si fa suggerire un’altra frase : “give me one dollar”,
alché replico: “Bravo madam, counyea u parle byen langle” (Brava signora, ora
sì che parli bene l’inglese) altra risata generale e ridendo proseguo. Finito
il mercato, finito il paese. Ci giriamo e torniamo verso la Chiesa.
Arriviamo alla parrocchia e dopo un po’ di attesa
arrivano i membri della Caritas parrocchiale. Ci dividiamo per le interviste:
Meaurin e Fritz con la Caritas parrocchiale e io col parroco. Scopriamo che è
una comunità molto attiva, i membri sono molto legati al proprio parroco e sono
orgogliosi delle attività che portano avanti per il loro villaggio. I problemi
principali sono i soliti: manca l’acqua, non ci sono latrine e non ci sono
strade, ma mentre parlano mi sento quasi commossa, queste sì che sono persone
che cercano di aiutare, nulla a che vedere con l’assistenzialismo e la
diffidenza che abbiamo trovato finora. Contenti e soddisfatti del nostro
incontro ringraziamo gli intervistati, li esortiamo a continuare così dandogli
qualche piccolo consiglio su come migliorare ancora e gli presentiamo le nostre
proposte per i prossimi mesi.
Beviamo un po’ di cocco prima di ripartire e iniziamo
la discesa, con tante idee in testa e contenti di questa giornata. Un’ora e
mezza di tempo e saremo già arrivati al punto in cui l’autista è tornato ad
aspettarci.
E’ stata decisamente una giornata straordinaria, non
avrei mai potuto immaginare tutta questa fatica e tutta quella bellezza … una
giornata straordinaria per me, certamente, ma quella strada è invece l’ordinario di molti.
Del resto, se un abitante di Gaspard venisse a casa mia a Milano vivrebbe
un’esperienza sicuramente straordinaria, in qualcosa che per me e per tanti
altri è semplicemente l’ordinario.
E’ bello sapere che c’è così tanta diversità
al mondo, e credo che ogni tanto, quando mi lamenterò che l’ascensore è rotto o
che l’autobus è in ritardo, mi ricorderò della fatica che fanno gli abitanti di
Gaspard a scalare quella montagna tutti i giorni.
Irene
I miei compagni di servizio civile mi derideranno perchè dico che commmento troppo, ma se un post è bello: comico, interessante,un pizzico commovente, perchè non dire "CHE BELLO!"? :DD
RispondiEliminaGrazie Mariaclaudia!
Eliminabeh...se anche ti prendono in giro è comunque una cosa che fa piacere, quindi perché non continuare a farla??
Buona continuazione di avventura e ti auguro di avere tanti altri "che bello!" ancora da dire, scrivere, commentare...
Quest'estate mentre facevo snorkeling (che poi è "nuotare con maschera &boccaglio") mi son sorpreso in una considerazione banale, già fatta, eppure percepita con rinnovata forza: cioè, mentre io faccio tutte le mie cosine questi qua (i pesci) se la sbrazzano qua sotto come stan facendo ora. E lo faranno anche settimana prossima mentre io sarò in ufficio. E allora ho fatto un po' il gioco mentale del "Chissà cosa starà facendo ora...", orientando il pensiero a persone di cui ho perso le tracce da mò. Che poi il gioco non vale per quelli che non senti da mò ma che hanno facebook.
RispondiEliminaCome disse quella bimba: "Ma quindi voi c'eravate prima che io nascessi?" (che fa un po' Truman Show).
Ciao Irene!
Blo
(Tipo: come starà Sneija?)
Già...io me lo chiedo spesso stando qua...ma in Italia cosa starà facendo Blo (ke non ho capito se è la firma o un saluto...eheh!)? E così per tutti quelli che mi vengono in mente... certo è vero che facebook falsa l'immaginazione!
RispondiEliminaIn ogni caso immagino che quando saremo un po' più vecchi ce lo chiederemo di più persone, se ce le ricorderemo (magari facendoci altre domande un po' più "gravi"), e vorrà dire che saremo stati ricchi di incontri nel nostro vissuto ...
... però è bello sapere che quella vita, che abbiamo assaggiato per un momento, continui ad andare avanti, magari esattamente come l'abbiamo assaggiata noi: con i chebabchi unti e bisunti o con una ciorba di pesce dal colore strano... e così via per tutte le vite in cui ci è capitato di passare (tante tante vite... di persone di cui ci si chiede ogni tanto se ancora esistono).
E' una cosa decisamente affascinante!!
Ciao Blo!