Quando avevo circa sette anni e passavo ore sul sedile posteriore dell’auto dei miei guardavo fuori dal finestrino le distese di campi di pannocchie e tentavo di convincere mio papà a fermarsi in una piazzola per farmici fare una corsa in mezzo. Ora di anni ne ho venti, il sedile posteriore dell’auto dei miei lo vedo poco, e mai avrei pensato di arrivare in una distesa di pannocchie tra Sloveanca e Răzălăi e farci una corsetta in mezzo per la prima volta nella mia vita. Si, perché in Moldova i campi di pannocchie sono tanti, tanti e senza recinzioni, e si ripetono quasi all’infinito. Ciò che si vede più spesso buttando un occhio al paesaggio moldavo potrebbe sintetizzarsi così: campi, mucche, pannocchie, girasoli, un villaggio, una chiesa dai colori sgargianti, e poi ancora campi, mucche, pannocchie e un asino ogni tanto (spesso di notte, mentre cerchi di dormire, e lui raglia) e girasoli, un villaggio, una chiesa dai colori sgargianti (un cimitero con le foto in bassorilievo sul marmo…), tutto sembra ripetersi in Moldova, sembra non avere mai una fine, una chiusura, tutto resta un po’ aperto, o almeno per me. Ho questa sensazione già guardando le colline che non si sviluppano mai in montagne, a non si appiattiscono nemmeno in pianure. Quando penso alla mia esperienza non riesco a non aiutarmi a ragionare con un passo di un libro di Calvino che mi è venuto in mente durante il primo viaggio in microbus (spie con significati strani e pause senza luci nella notte a parte…)
La città è ridondante: si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente
Così mi sembra questo paese, un bellissimo ripetersi delle cose. I bambini di ogni villaggio ti portano la frutta, c’è sempre una signora che ha del vino e del cibo con cui rimpinzarti se vai da lei a fare i lavori sociali, e le storie di queste persone, seppur diverse si assomigliano tutte. Ci sono sempre uno o più parenti all’estero che mancano da tempo, ci sono sempre dei nipotini (a volte hanno 20 anni e ti ossessionano perché voi volontarie usciate con lui), quasi giornalmente qualche bambino ti ripete che uno dei suoi genitori lavora in Italia o lì vicino, in Spagna il più delle volte…e si ripetono anziani, bambini, anziani, ripetono le loro benedizioni per te, che se sei una ragazza iniziano con “che tu possa trovare un uomo buono”; perché anche questo si ripete in Moldova, donne che ridipingono scuole su impalcature di fortuna e uomini seduti accanto che chiacchierano tra loro, e il genitore che solitamente è all’estero è “mama mea”.
Anche le nostre giornate sembravano ripetersi, più che altro perché non c’era molto tempo per fermarsi ad elaborare troppo quello che stavamo vivendo. Mi sono accorta solo tornando in Italia quanto quei giorni, benché simili tra loro, abbiano avuto ognuno una carica diversa, un nuovo significato scoperto, uno vecchio ritrovato, un dubbio sorto o uno risolto (un giorni ti chiedi se nella casa accanto alla scuola viva qualcuno, quello seguente vedi due bambini tagliare l’erba del giardino con due falci più alte di loro) (un giorno pensi di esserti liberato dei bagni-bucoperterra di Manta e il giorno dopo daresti un rene per sostituirli alle turche senz’acqua corrente di Răzălăi).
ORE 7.30…la sveglia…anzi…Sandra, perché svegliarsi non ha lo stesso sapore se non si sente “Sandra portami al mare compriamo il pane e un fornellino…” .
ORE…PRIMA DELLE 8.50 MA DOPO LE 8 …colazione, che per la cronaca è il pasto preferito dalla nostra boss Maria Claudia. Se la marmellata alle albicocche è finita la mattina inizierà male per molti…
ORE 9…se sei fortunato stai uscendo ora a incontrare tanti tantissimi bambini, se non lo sei, sei già tra loro da un quarto d’ora e cerchi di scrivere su dei pezzi di scotch attaccati alle loro magliette i loro nomi…inscrivibili…e quindi alla fine ti limiti ad attaccare lo scotch mentre un volontario moldavo si diverte coi pennarelli colorati.
9.04 secondo le tabelle di marcia moldave dev’essere finito il primo ban.
Dopo quest’ora si susseguono con un ordine deciso la notte prima Bans-Time, giochi, atelier, scenetta, giocone…a volte è scenetta gioco scenetta giocone, altre scenetta atelier giocone scenetta gioco…insomma dovevo sempre chiedere a qualcuno cosa c’era dopo…
Se alla fine della mattinata sei un superstite e non sei attaccato da bambini cozza allora ti meriti il pranzo…il pranzo alla bucătăria, una volta mi è venuto bene, una volta male…molto male…lavorando in gruppo ti rendi conto di quanta importanza abbia il lavoro di squadra, poi guardi ciò che hai preparato da mangiare e ti rendi conto che forse quella squadra, in cucina, è meglio non assemblarla più…
ORE…INTORNO ALLE 14…sceminza (ședința, riunione) ma era organizzata così solo nella seconda settimana, quando ci siamo accorti che una pausa subito dopo pranzo era distruttiva…è ora di parlare della mattinata e dividere i compiti per il pomeriggio (“io faccio la scenetta con Cristina Iovu de Roșu! …una volontaria moldava mooolto mooolto timida ma che era una bomba nel creare qualsiasi tipo di scenetta)
ORE 17…”chi deve andare a fare i lavori sociali vadaaaaaaaaaaaa!”. Il lavoro sociale è stata una delle esperienze più…memorabili…della mia vita. La prima volta che ho fatto un lavoro sociale ero a Manta, a casa di una signora anziana che doveva sistemare il giardino, perché non riusciva più a camminarci…ci ha armati di falcetto e di una zappa-vanga a mezzaluna e abbiamo iniziato a togliere erbacce. Potrebbe sembrare un comune lavoro se l’assistente sociale non avesse iniziato a cercare di farmi sposare il figlio dal momento che secondo lei “sono molto brava a zappare” (pertanto se siete in Moldova e senza interesse in un imminente matrimonio vi trovaste un giorno a zappare, fatelo male…). Ma il momento che mi ricorderò per sempre è stato quando la signora ha iniziato a raccontare un po’ della sua vita, il marito morto dieci anni prima, le difficoltà del restare sola, la nipote appena sposata, e poi prendendoci alla sprovvista ci ha recitato una canzone scritta da lei per lo sposo, capivo poco o nulla di quello che diceva ma mi sono emozionata, e sebbene ammetto di non essere una persona dalla lacrima facile, lì mi è caduta senza esitazioni, e quando ha finito la canzone eravamo come tutti sospesi, non sembrava di essere nello stesso campo che stavamo zappando pochi minuti prima, l’uva che ci ha offerto la signora non sembrava la stessa che stavamo mangiando poco prima…tutto aveva un nuovo valore, un nuovo peso, più vero, più reale, più vicino a noi…
ORE 17…se non sei andato a fare i lavori sociali, o stai lavorando come un forsennato per il giorno dopo o sei disperso per l’edificio….o hai finito, come alcune volte è successo…e allora un gavettone non guasta mai, o anche lavare qualche maglietta che tanto non verrà mai più pulita. Forse meglio, così ogni volta che guardo la maglia di diaconia mi ricordo che quella strisciata l’ho fatta passando sotto le gambe di 20 bambini moldavi per spiegargli un gioco a mio parere divertentissimo (o sicuramente mille volte più bello di bandiera, in cui i volontari italiani rovinano a terra per afferrare un cencio…)
ORE 20…forse si mangia se chi cucina è ligio alla tabella di marcia…
ORE 20.30 CIRCA…si mangia! Bello, la cena mi è sempre piaciuta, ha un’ atmosfera più intima del pranzo…
ORE…QUALCOSA INTORNO ALLE 22.00/23.00… ședința! Che poteva magicamente durare fino all’1/1.30. seppur infinite queste riunioni serali (o notturne…a piacere…) mi hanno insegnato molto, prima cosa fra tutte “se pensi che la tua idea sia migliore delle altre ma viene bocciata dal gruppo…lasciala bocciata e concentrati sulle precedenti” perché oltre che ideare a un certo punto bisogna “quagliare”, come direbbe la nostra Madre Chupa Mariarora. Ho quindi smesso di parlare tanto e ho preferito fare, a volte a discapito delle riunioni tra italiani in cui piccoli sermoni sarebbe stati più benvoluti.
ORE…TARDI…si va a dormire! Sempre se non si autoprogramma una piccola ședința tra amici vicino al bagno, magari seduti in terra, così per stare più al fresco…e anche le chiacchiere durano il doppio, perché vengono tradotte, o meglio mimate…e poi non resta che aspettare Sandra…
Molte cose si ripetono e si sono ripetute in Moldova, anche le mie foto, lo ammetto, ce ne sono centinaia che sembrano davvero uguali (senza contare quelle che pendono verso destra ovviamente), alcune le ricordo come se le avessi appena scattate e rivedendo i volti dei bambini mi ricordo i loro caratteri “questo era un matto” “questo rideva poco” “questa era dolcissima” “lei non voleva mai correre”. Penso di aver sostituito le parole con le foto e ogni foto scattata fa rinascere fiumi di parole, ogni parola mille pensieri a cui dar voce, che si vorrebbero spiegare, far capire, si vorrebbe ricreare un’atmosfera che però a parole mi accorgo di non essere particolarmente brava a creare, per far capire agli altri quello che ho vissuto devo prima capirlo io e, sebbene mi accorga di quanto sia stato straordinario, non riesco ancora a dargli un ordine, trovare il punto da cui possa cominciare a riannodare la matassa.
La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere
Erica