I ragazzi capirono che Esistono Situazioni Originali e Tradizioni In Cui Orientarsi, quando si trovarono, durante il viaggio di ritorno da Masaya, in compagnia di una decina di persone e di una povera gallina, stipati su un pullmino da 6.
Da allora i ragazzi cominciarono ad interpretare questo loro viaggio come una straordinaria occasione di incontro e conoscenza. Ma ancora non riuscivano nemmeno ad immaginarsi cosa gli stava per accadere:
<<La gallina ha parlato>> disse Elmo.
<<Non urlate che dormono>>.
<<La gallina ha parlato>>, ripeté Elmo sbalordito e pensando: Erro in Stranezze Ogniqualvolta mi Trovo in Compagnie Originali...
I suoi compagni lo guardarono stupiti e poi, ascoltando attentamente, poterono senitre anche loro cosa si stava dicendo:
<<Innanzitutto tendo a sottolineare che sono un gallo. E mi chiamo Pinto. Mucho gusto. Ogni volta che viaggio Riecheggiano Urla e Musiche Ovunque! Risvegliandomi e Incoraggiandomi a cantare al sole che sorge, così come siete voi per me. Ora invece vorrei regalarvi questo consiglio, poiché siete all'inizio di queso vostro viaggio: Inattese Nascono Conoscenze Originanti la Necessaria Terapia Relazionale anche Oggi>>.
Artemio, riflettendo sulle parole del gallo Pinto, guardò fuori dal finestrino e pensò: Oggi Rimango Oltre L'Ordinarietà Giornaliera Impegnandomi ad Oltrapassarla.
I ragazzi del gruppo pensarono per il resto del viaggio alle parole di gallo Pinto, raggiungendo infine Managua.
Prima di scendere, Elmo, stranito da questo incontro magico, si girò verso i suoi compagni e disse:
<<Con Ogni Mente Unita Noi Iniziamo un Cammino Abbracciati Ridefinendo l'Esterno>>.
E iniziarono così un viaggio indimenticabile, ricco di calore e magia, che apriva la mente a cose che non avrebbero mai immaginato di vedere.
29/07: "Se oggi dovesse scoppiare una guerra, non
alzerei gli occhi dal mio piatto?" "E perchè?" "Perchè io
sono nato nella guerra".
29/07 "Sarò anche stanca morta per il viaggio, ma certe cose
saltano proprio all'occhio: le contraddizioni di questa città chiamata
Beirut".
30/07: pochi istanti per irrompere nelle storie di vita
nello shelter..esiste davvero tutto questo?
4/08: "Everyone has a mission in life,
but we don't know it". PAROLE SANTE.
5/08: Comunicazione rapida ed efficace allo shelter: "Did you
sleep well?" "Yes, better than in prison".
9/08: Sono state diverse le occasioni di commozione ma
questa è piovuta dal cielo. Grazie carissime malgasce!
13/08: Dbayeh...entro in punta di piedi, ma mi ritrovo
travolta.
14/08: penso alle chiacchierate con gli anziani del
campo..ho in mente i miei nonni che porto con me..ma come sono
diverse, complesse e ricche le storie di vita. Resto in ascolto. 18/08 ..é la fine: mi chiedo se ho vissuto davvero tutto
questo. Forse non realizzo ancora, così cerco segni visibili. Una scritta di
pennarello sul braccio, le gambe affaticate e i piedi che non sembrano voler
tornare puliti mi fanno sorridere. 20/08: Vorrei l'aiuto del pubblico per rispondere alla
domanda: "Dove mi trovo?"
TUM-PIN-TIN-TIN: “Si avvisano i gentili spettatori che a causa dei tempi africani la pausa pranzo è durata più del previsto. Ci scusiamo per il disagio e che la digestione cominci!”.
Oggi è il grande giorno: si festeggia la fine del Ramadan. Sono le 7.30 e 300 occhi curiosi sbirciano all’interno del centro Caritas dove i nostri eroi si muovono silenziosi per definire gli ultimi dettagli prima dell’entrata in scena. Pallonicini ripieni pronti a scoppiare, una tiratina ai nastri colorati, impronte di mani ben in vista, attenti a non calpestare la scritta di benvenuto per terra!, un ultimo collaudo agli stand dei giochi e via, tutti a posti di comando. 3…2…1…si apre il cancello. 300 piedi infangati fanno tremare la terra (e gli animi dei nostri eroi) per qualche secondo, ma in un attimo il caos si trasforma spontaneamente in un ordinatissimo entusiasmo. Tra uno strike e un canestro, una salsicciottata sugli stinchi e un palloncino che abbaia sembra che la fiamma olimpica abbia fatto tappa anche qui a Gibuti. Dopo una pausa rifocillatrice, gli atleti con le loro medaglie al collo sfilano davanti alla Grand Jurie per ritirare il premio finale: nuovo anno, nuovo look. Lasciano lo stadio tra gli applausi del pubblico pagante e i “SA-LA-MA!” di Pilippo. A fine manifestazione il comitato olimpico dichiara: “Batteria residua: 5%. Litri di sudore versati: non calcolabile. Superficie cutanea ancora pulita: 16 cmq. Grado di soddisfazione: 200%.”
Non è tempo di sedersi sugli allori perché il tempo rimasto è poco e scorre in fretta: una capatina a Sud non la vogliamo fare?! Ebbene sì, la voce si è sparsa nel paese e anche nella bassa Gibuti richiedono le nostre impareggiabili abilità manuali. Troppo facile dire “la polvere non dura perché Swiffer la cattura”, avete mai provato a spazzare controvento?! Rimanendo in tema di slogan, si dice che “per una grande parete ci vuole un grande pennello” e i Power Ranger seguono l’insegnamento alla lettera (anche perché i rulli ci si spaccano immancabilmente) e imbiancano mezza Gibuti al ritmo di “It’s a higway to Heeeell”.
…il finale lo lasciamo alla vostra immaginazione perché la regia est trees fulminè.
Contenuti speciali
All’interno del cofanetto edizione Platinum potrete trovare:
La ricetta segreta del tiramisù di Marygrace (errata corrige: Per i bimbi di Gibuti, se sei un bianco sei Pilippo, se sei una bianca sei Mariangrassia)
La lettura integrale del vangelo in amarico (volume al massimo, non modificabile)
Due biglietti omaggio per imbucarsi a una festa di compleanno di un perfetto sconosciuto (preferibilmente gibutino) in lista Juan
L’anteprima del nuovo programma di Paola Marella “dipingo casa autonomamente”
Il nuovo singolo delle suore dell’ordine di Nostro Signore del Ristoro “Et Avec Votre Esprit”
Il manuale del perfetto cantierista: “100 e più modi per infrangere il protocollo Caritas”.
Non voglio aggiungere nulla al Vangelo, ma penso che oltre a dire che è facile amare chi ci ama, io direi che è troppo facile amare quando si sta bene...
Forse l'episodio che meglio racconta ciò che penso è quella della vecchia che dona un soldo al tempio, che vale molto di più dei molti denari, il superfluo, donato da altri.
Così un ragazzo che accoglie un figlio non suo e lo cresce amandolo come fosse lui il padre. Che anche per lui sta costruendo la casetta di lamiera, anche per lui spinge il carretto a pedali e vende uova anche se il suo vero lavoro sarebbe un altro.
E se l'amore, il donare gratuitamente e l'offrire generosamente, l'essere uomini e donne buoni resiste anche qui dove lo sporco e il disordine regnano, dove se hai un cesso all'aria aperta ti senti in dovere di ringraziare qualcuno, qui dove neanche a chi ha studiato e si impegna può concretamente essere promesso un futuro...
Beh se l'Amore riesce a spuntare anche qui, forse bisognerà proprio cedergli.
Quattro
giorni a Ranoong tra Learning Center e Kindergarden. Per quattro
giorni siamo stati svegliati alle 7.00 dalle voci dei bambini che
ogni mattina prima dell'inizio delle lezioni hanno giocato, corso e
condiviso la merenda. Per quattro giorni ci siamo “lavati”,
abbiamo fatto colazione, ci siamo vestiti con la loro costante e
cortese presenza e ad ogni nostro passaggio siamo stati salutati con
un inchino e le mani giunte davanti al viso in segno di rispetto:
“Good morning teacher”. Piu' di 200 bambini tra i 4 e i 13 anni
hanno animato le nostre mattine con tanti sorrisi e un grande ordine.
Mattine partite con tutti i bambini in cortile, divisi in piu' file
perfettamente in ordine a recitare preghiere e a cantare l'inno
thailandese. Noi, insegnanti improvvisati, abbiamo tentato di passare
loro qualche rudimento di inglese... il nostro inglese
italianizzato... “Allora, now...”.
Mattine
e pomeriggi passati a giocare a pictionary, a insegnare le potenze,
le radici quadrate e le espressioni, a cantare ritornelli che piu'
che a dei ragazzi di 13 anni sarebbero stati adatti a bimbi di 5
anni, a insegnare vocaboli in italiano e fare video imbarazzanti
stile “Italiaaa Unoooooo”, a giocare a Galeone (Flipper,
Grattamani), a insegnare senza particolare successo che Davide è un
boy e Fede una girl. E nonostante molte volte siamo rimasti in
silenzio e senza idee, i “nostri” studenti ci hanno sempre
confortato con un sorriso.
La
prima sera l'idea di stare davanti a tanti ragazzi e trovare il modo
di tenerli occupati ci terrorizzava, ma l'ultima mattina il pensiero
di non potersi mettere davanti alla lavagna e vedere i loro visi in
attesa ci ha stretto il cuore. Ma anche quell'ultima mattina quei
piccoli birmani con la faccia decorata ci hanno fatto un bellissimo
regalo, riempendoci di dolci, di baci e di sorrisi.
“Thank
you teacher”, “Bye Bye teacher”.
Solo
4 giorni a Ranoong, vivendo tra birmani e come insegnanti birmani
(dormendo nella libreria della scuola insieme agli altri teacher), ci
hanno svuotato di comodità e ci hanno riempito di affetto.
Rifocillati da cokine e sprites,
appesantiti da una madame carbonara, i 5 power rangers dei poveri ripartono
alla volta della capitale del caldo, la già menzionata Dejebuti. Amareggiati
dal mancato incontro con gli squali, soliti all'appetito tra le 3 e le 5,
tentano un'ultima spiaggia. Ma anche lì niente pinne all'orizzonte. Che
rispettino anche loro il ramadan? In compenso, hanno preso un granchio.
Prossima fermata, Lac Assal, la
più profonda depressione dell'intero continente nero, degna di citazione sui
settimanali più importanti del settore lacustre, quale “Stagni, laghetti e
pozzanghere”; recensita nell'ultimo inserto “Un tuffo dove l'acqua è più giù”
del quotidiano “Il Sale 24Ore”; location prescelta per la prossima puntata di
“Cotto e Salato”. Un viaggio a senso solo, quasi una discesa agli inferi, nel
girone degli insipidi. Caronte ad un certo punto si avvicina e dice: “Monsieur
Monsieur de l'eau de l'eau Monsieur!”. Paesaggi mozzafiato e orizzonti
indefiniti, dove perdere lo sguardo è facile come farsi fregare al suq del
Centre Ville. Un dubbio si insinua nell'abitacolo. Ma Gibuti confina con la
Groenlandia? Ma basta aprire la portiera per sciogliere ogni dilemma. Passaggio
di stato avvenuto, e con esattamente 12 minuti e 32 secondi i P.R. stabiliscono
il nuovo record mondiale e olimpico di resistenza a corpo libero. Premio
consegnato da un Afar locale, giudice imparziale e venditore di souvenir nel
tempo libero, che ne approfitta per scroccare un passaggio fino alla maison.
Stremati e sfiniti, pezzati e
gormiti, rientrano all'uscio con la mente già rivolta alla prossima missione:
affrontare e sopravvivere ad un esercito di bimbi sperduti un po' abbronzati,
affamati e assetati, in ricerca dell'affetto e dell'attenzione da sempre
privati.
E questo lo racconteremo nel
prossimo episodio, che la regia est trees affamèe.
Panta Rei, "tutto scorre", diceva un
vecchio filosofo dell'antica Grecia….
Sì, ma a quale velocità?
L'altra sera in una delle conversazioni via
skype con un altro saggio, altrettanto vecchio, "Il Bettiga", la mia attenzione
si è soffermata sulla frase: “Lo so, sei ripartita da poco meno di un mese, ma
sembra passata un'eternità.”
E su questa percezione temporale di eternità ha
iniziato a vagare la mia mente...
Sembra passata un'eternità da quando
preoccupata mi documentavo sulle vaccinazioni da fare per partire per il Kenya.
Ora sono in un posto dove queste vaccinazioni
non servono.
Sembra passata un'eternità da quando i miei
piedi a fine giornata si coloravano di rosso, come la terra del quartiere di
Kamiti Prisons.
Ora sono in un posto dove i piedi a fine
giornata sono (tendenzialmente) puliti.
Sembra passata un'eternità da quando la parola "mzungu" in alcuni momenti mi dava gioia, in altri irritazione.
Ora sono in un posto dove dal colore della mia
pelle non si capisce che sono diversa…
Sembra passata un'eternità da quando
passeggiando per Kamiti iniziavano le litanie dei saluti: "Habari! Nzuri Sana!". Lo stesso saluto assumeva significati diversi se rivolto ad un ascari (guardia) o ad
un carcerato: rispetto nel primo caso, espressione di considerazione nel
secondo…
Ora sono in un posto dove saluto solamente chi
conosco.
Sembra passata un'eternità da quando la Messa
della domenica poteva iniziare nel lasso di tempo tra le nove e mezza e le
undici…
Ora sono in un posto, dove la Messa in polacco/
russo/ romeno/ italiano inizia alle 9.
Sembra passata un'eternità da quando guardando
fuori dal finestrino del matatu, rigorosamente con la musica “maranza tunz tunz” come piaceva alla mia cara Bea, vedevo
tantissime persone ai bordi della strada che camminavano..camminavano..camminavano.. avendo chiaro in mente la loro meta.
Ora sono in un posto dove se ti allontani
dalla capitale le strade sono deserte…e di conseguenza comprendi il
significato della frase: un quarto della popolazione moldava è migrata
all'estero.
Sembra passata un'eternità da quando turbata da
eventi e scelte che non potevo comprendere ripetevo la preghiera che Sister
Rachel ci aveva insegnato:
"Signore, donami la serenità per accettare la
cose che non posso cambiare; donami il coraggio, per cambiare quelle che posso
e la saggezza per saper riconoscere la differenza".
Ora sono in un posto dove osservo, ascolto e raccolgo informazioni
per iniziare a capire esattamente dove sono.
Sembra passata un'eternità da quando i giorni
di riposo diventavano giorni di puro lavoro per riempire bottiglie e taniche
d’acqua.
Ora sono in un posto dove la riserva d'acqua nel frigorifero (e fuori) è diventata oggetto di battute
scherzose.
Sembra passata un'eternità da quando tutte le
mattine riempivo la mia chupa (bottiglia) per non rimanere senza acqua.
Ora sono in un posto dove il tormentone chupa
ha caratterizzato il cantiere della solidarietà Moldova 2012.
Sembra passata un'eternità da quando la frase
NINALIMA SHAMBA E NINAPANDA SHAMBA (zappo l'orto e semino l'orto) sotto il sole
delle 14, era in realtà una tra le attività principali della Cafasso House
durante la stagione delle piogge.
Ora sono in un posto dove non esiste la
stagione delle piogge, ma un inverno piuttosto freddino.
Sembra passata un'eternità da quando ascoltando
le persone che parlavano della pioggia, la consideravano come una benedizione divina.
Ora sono in un posto dove si sta vivendo
l’estate più calda dell’ultimo secolo.
Sembra passata un'eternità da quando i messaggi
"please call me" erano oggetto di preoccupazione, ma anche di scherzo.
Ora sono in un posto, dove meno di 5 persone
hanno il mio numero.
Sembra passata un'eternità da quando la piccola
Becki mi correva incontro felice di ricevere un abbraccio.
Ora sono in un posto dove i bambini che
incontrerò saranno quelli del Centro Maternale.
Sembra passata un’eternità da quando i Cafasso
boys mi chiamavano Nyanya (nonna).
Ora sono in un posto dove il mio nome è Maria
Trandafir.
Sembra passata un’eternità da quando, rientrata in Italia, ho
sentito l’affetto e la preoccupazione di chi mi stava vicino senza chiedere
troppo.
Ora sono in un posto dove anche i miei nuovi compagni di avventura
accettano silenziosi qualche momento pensieroso.
Sembra passata un’eternità da quando le Carafa girls condividevano
ogni imprevisto ed ogni (raro) momento di spensieratezza.
Ora sono in un posto dove questa condivisione non si è interrotta
e prosegue a distanza:
Chisinau-Kindu.
Tutto scorre, ma a quale velocità? …forse a ritmo lento, per poter
comprendere giorno dopo giorno il senso e gli insegnamenti di questo insolito servizio civile.
Primo
giorno di lavoro al campo! La mattina incontriamo alcuni degli anziani che
frequentano il Centro per intervistarli e conoscere le loro storie di vita. La
prima “sessione” di interviste è con tre uomini, molto disponibili e
sorridenti. Parlano solo arabo ma la direttrice del Centro ci fa da interprete.
Ci raccontano che sono dovuti scappare dalla Palestina quando erano molto
piccoli e che dopo varie peregrinazioni sono giunti in Libano, nello stesso
campo dove ci troviamo noi ora e in cui loro sono rimasti tutta la vita. Le
loro famiglie sono sparse un po’ in tutto mondo: negli Stati Uniti, in Canada,
in Danimarca e da altre parti. I primi
abitanti del campo, nonostante siano in territorio libanese da circa
sessant’anni, vengono ancora considerati profughi e non hanno la cittadinanza
libanese. Anche le generazioni successive, che hanno visto la luce nel campo
stesso, sono considerati cittadini palestinesi, Stato che non esiste più e che
essi non hanno neanche mai visto. I tre anziani che intervistiamo mostrano
un attaccamento molto forte alla loro identità palestinese, nonostante si
ricordino ben poco della loro vita pre-migrazione, e con rammarico ammettono di
non avere nessuna speranza di poter un giorno tornare in Palestina.Dopo pranzo abbiamo l’opportunità di
intervistare due donne veramente molto anziane, fra le primissime ad essersi
installate nel campo. Esse ci raccontano come si è evoluto nel tempo il campo
stesso: all’inizio le abitazioni erano veramente molto piccole e più famiglie
erano costrette ad abitare insieme. In più, i servizi igienici erano esterni.
Piano piano le case sono diventate più grandi, confortevoli e uni-famigliari.
Secondo le due signore oggi la vita nel campo è più facile e comoda, ma non per
questo più felice. L’incontro con questi vecchietti ci fa pensare ai nostri
nonni, a quanto sia preziosa la loro presenza per noi, anche per il retaggio di
esperienza e saggezza che sono in grado di trasmetterci. Una volta concluse le
interviste, lasciamo il campo contenti di aver rotto il ghiaccio con gli
abitanti del campo, speranzosi di poter approfondire la conoscenza appena
iniziata domani e nei giorni successivi.
Questa domenica viene interamente
dedicata al turismo, perché visitiamo vari quartieri di Beirut girando a piedi per
la città. È molto più interessante fare questo “tour” camminando, invece che
prendendo i mezzi, perché ci permette di vivere meglio l’atmosfera della città
e di cogliere particolari che altrimenti ci sfuggirebbero. Unici elementi
negativi: il caldo e i taxi che, un minuto sì e l’altro pure, si avvicinano a
noi strombazzando il claxon per chiederci se abbiamo bisogno di un passaggio!
Evidentemente qui a Beirut è inconcepibile che qualcuno possa voler semplicemente
girare a piedi! Durante il giro vediamo
molte cose che ci colpiscono: palazzi antichissimi, case tradizionali con
finestre ad archi tripartiti, murales contenenti messaggi di denuncia, un
palazzo-simbolo della guerra civile da dove i cecchini sparavano sulla gente…
Essendo questo periodo di Ramadan ed essendo oggi domenica, tutti, ma veramente
tutti i negozi, i bar e qualsiasi tipo di esercizi commerciali sono chiusi e
non c’è davvero nessuno in giro. L’unica eccezione è rappresentata dal Quartiere
Armeno, assolutamente caotico e pieno di vita: esso è popolato da persone
provenienti da varie parti del mondo, c’è una serie di negozi aperti e in piena
attività, un traffico molto intenso, tanti suoni, rumori, colori, voci, tanto
movimento… Facciamo fatica a farci strada in questo guazzabuglio, ma alla fine,
stanchi e contenti allo stesso tempo, torniamo a casa, dopo un’ulteriore (e
salutare!) camminata a piedi per le strade di Beirut.
Oggi gita di un giorno a Mleeta,
un museo di recente fondazione dedicato alle vicende militari del Libano dagli
anni ’80 fino alla guerra contro Israele del luglio 2006. La visita si rivela
molto interessante, soprattutto perché i fatti storici vengono presentati e
raccontati secondo un punto di vista totalmente diverso da quello occidentale.
È abbastanza impressionante vedere fucili, carri armati, proiettili, mine,
missili, assolutamente reali, proprio quelli usati durante i conflitti, così
vicino da poterli toccare. Una delle parti più degne di nota del museo è un
bunker, uno di quelli realmente costruiti e utilizzati dalle milizie libanesi,
in cui si può entrare e vedere gli spazi dove quelle persone abitavano e
svolgevano operazioni militari. È molto
difficile dare un giudizio netto sulle vicende belliche raccontate, non è come
nei film dove esistono i buoni e i cattivi che si contrappongono in maniera
chiara e definita. Di certo però questa visita ci spinge a porci molte domande
e a rimettere in causa nozioni date per scontate. Questa giornata ci ha
dato l’opportunità di capire che questo campo di volontariato non ha unicamente
una finalità pratica, cioè che non siamo qui solo per far giocare bambini o
tenere compagnia a donne migranti, ma che serve anche a farci stimolare da una
realtà tanto distante dalla nostra, a cercare di capirla e a rimetterci in
discussione da un punto di vista intellettuale.
Street Children of Gibuti: Tosti e prorompenti, tutti
differenti, agili e scattanti, foto-performanti gotta kiss'em all. Catch catch.
Gli Enfant Terrible (i gagni): A.A.A. Genitori cercasi. Siam
47 bei moretti, occhi profondi sorrisi perfetti. Ci scoliamo un biberon in un
minuto, poi un rutto e uno starnuto. È vero, tanta pupù sappiam fare ma se tu
vuoi, ci puoi adottare!!
The Sisters: 4 piccole indiane trapiantate a Obock,
dell'ordine di Nostre Signore del Ristoro con buffet e musica dal vivo all
inclusive. Televotale da oggi all'Obock's Got Talent per il loro inedito
“Priiioons le Seigneuuuurrrrrrrrrrrrrr”.
Bimbi di Ripta: Era una scuola molto carina senza soffitto
senza cuc...aspè aspè aspè! Come senza soffitto? Dov'è finito il soffitto? È
crollato? 5 anni fa?!!!!!! E les Enfants? Studiano a cielo aperto e ridono di
gusto con poche, semplicissime pernacchiette. Basta poco che ce vo'?
Mr Heineken: Se Fra Tac fosse americano, insegnasse
all'american school of Dubai e girasse da tre settimane Etiopia e Gibuti in
solitaria, sarebbe lui. Sounds Good.
Trama:
ogni mattina (ou uò) in Africa, quando sorge il sole, un
Pere (Emilio) Marc si sveglia e comincia a correre. Ogni mattina (ou uò) in
Africa, quando sorge il sole, un Tom si sveglia e sa che dovrà correre, ma solo
a comando. Ogni mattina (ou uò) in Africa, quando sorge il sole (più o meno)
cinque volontari, si svegliano e fanno colazione. Ripetono ad alta voce i
versetti del protocollo sicurezza Caritas e decidono quali non rispettare.
Ricevuta la chiamata, senza indugio montano sul loro pick up, attraversano 200
km di lande aride e desolate armati solamente di spaghetti n.5 e guanti da
lavoro. Accolti da impetuose tempeste di sabbia, fulmini e saette, si fanno
strada tra teschi di capre e stormi di corvi affamati. Una grande responsablità
grava su di loro, il progetto di gestione e potabilizzazione delle acque di
tutto il nord del paese non può iniziare senza il loro contributo. Mai visto un
ufficio così pulito.
E dopo tanto sudore e fatica, potrà anche mancare l'acqua
per la doccia, ma l'aperitivo non glielo leva nessuno.
Pasa
que ritorno dalle vacanze e la
Bea si è ammalata di Dengue. Pasa que
nel giro di pochi giorni diventiamo esperte di ospedali nica e
malattie tropicali.
Pasa
la preparazione dei Cantieri, l'arrivo della nuova
assistente sociale, il corso di Ludopedagogia e l'accoglienza
dei ragazzi in aereoporto... il primo loro giorno a
Nueva Vida, il primo fin de semana fuoriporta, la prima
settimana di lavoro con nuove sfide, nuove emozioni e stessi volti –
ragazzi, bimbi, colleghi ormai famigliari – osservati
da occhi diversi... pasa il tentativo di raccontare, di
accompagnare, di facilitare.
Pasa
la mattina che mi sveglio alle 5 per parlare con mamma e invece
finisco a litigare su Skype, che quando serve non funziona; pasa
que in Italia è nato Giuseppe,
il mio primo nipotino adottivo tra la mia
cerchia di amici più stretti... pasa que
Gibbo e Carlotta sono tornati dal loro viaggio di nozze sul
Kilimangiaro, mio fratello Stefano è tornato da un mese di Etiopia e
io ancora non sono riuscita a sentirli... e pasa que
mia nonna mi manda un messaggio con scritto «Prova
Prova»
e probabilmente ora penserà che la prova
non sia funzionata perchè ancora non gli ho risposto.
Pasal'unica mañana libera
in una finca ad ascoltare ricordi di gioventù
sandinista e ad assistere alla
progettazione di un sogno che sà di olismo ed ecologia, pasa
que
nel tardo pomeriggio mi perdo a un km da casa, attraversando
quartieri e strade inaspettatamente sconosciuti. Pasa
que la
sveglia non mi sveglia e neanche il caffè fa il suo lavoro. Pasa
que
parlo italiano agli spagnoli e spagnolo agli italiani. Pasa
que
al Guis sono tutti in fermento per la Semana de la Discapacidad, e io
mi sento un po' schizofrenica-iperattiva saltando senza soluzione di
continuità dal numero del circo
al taller per la giornata di convivenza, dallo spettacolo di
burattini al paseo al mar...
Pasa
que al lavoro una collega
mi legge negli
occhi e mi offre uno spazio, parole, abbracci come un'amica
verdadera. Pasa que
la stessa sera mi trovo a ricevere critiche sul mio carattere e mi
faccio una buona iniezione di umilità per cercare di farne tesoro.
Pasa
que,
lasciandomi conoscere nella mia vulnerabilità, ho ricevuto anche
consigli, come quello di scrivere per raccontare cosa faccio qui… e
più che raccontare cosa faccio ho deciso
di raccontare
un po' di cosa sono in questo momento... lo racconto alla
famiglia, agli amici lontani, alle compagne SCE,
ai cantieristi, a me stessa... e anche a quelli che non conoscendomi
arrivano qua per caso, ai quali faccio una pernacchia e grido che La
vita è bella!!!
È tempo di partire: passiamo la
prima parte della mattinata a salutare una per una le ragazze del Centro.
L’emozione è tanta, è difficile dire “Arrivederci” e alcune si commuovono. Tutte
hanno delle parole gentili per noi, facciamo foto, ci promettiamo di tenerci in
contatto, ci abbracciamo forte forte e noi volontari sappiamo che non le
scorderemo, perché abbiamo condiviso qualcosa di veramente speciale. Alla fine
dobbiamo attraversare il cancello e prendere il pullman che ci porterà verso la
nostra nuova destinazione: il campo di rifugiati vicino a Beirut dove
presteremo servizio la prossima settimana. Il campo di rifugiati è una sorta di
piccolo villaggio, distribuito su un territorio in salita. Ci sono quattro vie
principali, collegate fra loro da scalette che passano fra le case. Per le
strade si vedono ovunque reticoli di fili per l’energia elettrica, le case sono
piccole e semplici, quasi anguste. Gli
abitanti del campo che incrociamo durante il nostro “tour” sono incuriositi e
sorpresi dalla nostra presenza lì, però tutti ci salutano, ci sorridono e ci
rivolgono frasi di benvenuto. Al Centro per Anziani della Caritas, con il
quale collaboreremo per le nostre attività di volontariato, incontriamo M., la
responsabile, con cui pianifichiamo subito quello che faremo la prossima
settimana. È l’inizio di un’avventura nell’avventura e siamo tutti carichi per
renderla unica e indimenticabile!
“In radio c’è un pulcino..il pulcino Pio il pulcino Pio il pulcino Pio..In radio c’è anche un gatto…”
E chi più ne ha più ne metta!!! Ma che sorpresa quando questi bimbi ci hanno regalato questo infinito balletto di saluto! Pensato e preparato tutto per noi... per salutare quegli strani volontari di Milano, che passavano le mattine a pulire la loro grande casa, ma che nel pomeriggio erano ben contenti di giocare insieme, fregandosene degli sguardi storti dei turisti, che non si aspettavano di essere malauguratamente coinvolti in battaglie d’acqua e mega giochi nel pieno centro di Firenze!!!
Questo
per la nostra équipe è l’ultimo giorno di attività al Rifugio! Già al mattino
salutiamo i bambini, che partono in colonia. Sono tutti molto teneri, anche
quelli che in queste due settimane si sono mostrati più discoli, e ci
abbracciano, ci danno bacini e ci dicono frasi semplici ma sincere, tipo “I’ll
miss you!”. Dopo la partenza dei piccoli continuiamo con le attività per le
donne, facendo fare loro altre decorazioni per il “dîner du gala” di stasera.
Senza i bambini il Centro è decisamente più tranquillo. Nella pausa post-pranzo
abbiamo il tempo di preparare un album-ricordo del nostro soggiorno al Rifugio,
da regalare allo staff perché lo conservi, pieno di foto, scritte, pensieri,
colori… Nel pomeriggio ultima lezione di ginnastica e poi un momento di festa:
alcune donne presentano canti e danze tipiche dei loro paesi (Filippine, Nepal,
Etiopia) e in particolare il gruppo
filippino contribuisce a creare un’atmosfera molto gioiosa, perché invita il
pubblico a provare la loro danza nazionale. Essa consiste nel saltellare dentro
e fuori da dei bastoni di bambù posati per terra,che vengono aperti e chiusi al ritmo di una
canzone. Parecchie donne accettano la “sfida” e provano questa danza, cosa che
facciamo anche noi volontari e due fra le responsabili del Centro, in mezzo
all’ilarità generale. A un certo punto il pubblico comincia ad acclamare a gran
voce M. ed E., i due membri dello staff presenti, perché facciano anche loro
un’esibizione. Dopo vari tentativi di fuga, le due eseguono un canto e una
danza e il tripudio è generale! In questo clima festoso noi volontari e le
donne ci mettiamo all’opera per preparare il nostro “dîner du gala”, applicando
le decorazioni create fra ieri e oggi. Il risultato è veramente delizioso e si
comincia a mangiare. Noi giriamo fra i tavoli durante e dopo la cena per
dedicare un sorriso, una parola e un abbraccio a quelle ragazze che ormai per
noi hanno volti e nomi familiari. Sappiamo che è l’ultima sera che passiamo con
loro e vogliamo godere di ogni istante. Prima di andare a letto abbiamo la
riunione conclusiva con il direttivo del Centro, durante la quale facciamo un
bilancio della nostra esperienza lì. Siamo tutti molto soddisfatti e lo staff
ci fa i complimenti per essere riusciti a coinvolgere le donne nelle attività,
cosa non scontata. Noi invece ringraziamo loro per averci voluto coinvolgere
fin dall’inizio su una base paritaria, quasi considerandoci parte della loro
squadra. Domani dovremo alzarci presto, quindi a nanna!